Skip to content

Anarchy in Wales: La storia di JEFF MINTER e Llamasoft #1

Reading Time: 6 minutes

jeff minter

 

la prima lezione sui computer che Jeff Minter riceve in vita sua gliela impartisce suo padre. Lui e sua madre sono entrambi studenti universitari, e agli occhi del Jeff ragazzino, appaiono più come un deu super geni. Entrambi seguono corsi scientifici che includono sperimentazioni da portare a termine – quelle di suo padre hanno a che fare con la fisica, mentre quelle di mamma sono legate alla biologia. Quindi, immaginatevi come cresce questo ragazzino mentre osserva strabiliato l’allestimento di esperimenti sul tavolo della sala da pranzo. Tutte robe che includevano palle che rotolano su piani inclinati, masse, molle, misurazioni, e robe coi cronometri. Sua madre invece lascia in giro libri che mostrano come dissezionare rane o cervelli di pecora e Jeff se li porta a scuola per muovere al disgusto i suoi compagni di classe.
Ha circa nove anni quando suo padre frequenta una sessione di informatica. Jeff sa che il genitore si deve recare al college tecnico vicino a Reading per frequentarla, e che stava studiando qualcosa chiamato “Basic”. Ne è immediatamente affascinato. Allevato com’è a suon di letture di Asimov e Clarke, per lui i computer sono quelli di Asimov: “cervelli” elettronici pieni di tutto lo scibile dell’umanità e misteriosamente senzienti. L’idea che un cristiano dovesse arrivare solamente fino a Reading per comunicare con una di queste entità superiori lo incuriosiva. Un giorno, suo padre torna dal corso e Jeff gli chiede: « Paapa-aa, se ci sono così tanti problemi nel mondo, perché non chiediamo ai computer cosa fare? »

jeff minter

Suo padre gli spiega che i computer non sono quelle macchine di cui avevo letto nei miei libri di fantascienza. In realtà non possono “pensare” per niente. Le uniche cose che “sanno” sono cose che tu gli hai esplicitamente detto prima. Gli mostra dei pezzetti di carta con qualcosa stampato sopra e gli dice che quello è il risultato del dialogo con il computer. Moderatamente interessante, certo, ma di certo una cosa del genere difficilmente avrebbero salvato il mondo. Jeff Minter dimentica istantaneamente tutto il suo interesse per i computer per quasi altri nove anni.

 

1978. Jeff Minter ha sedici anni ed ha appena lasciato la scuola secondaria per frequentare il Sixth Form College. Le uniche materie in cui eccelle sono l’inglese, la fisica e la matematica: una combinazione veramente stramba. Non ha ancora idea di cosa fare una volta terminato il mio percorso didattico, di sicuro qualcosa che avrebbe avuto a che fare con la fisica dal momento che era l’unica cosa che le sue capacità sembravano indicare. Si, certo. C’è anche l’inglese, ma la letteratura inglese sembra particolarmente fuori posto in un sistema che tende a separarla dalle arti e le scienze.
All’inizio del Sixth Form College dovevamo iscriverci a quelli che venivano piuttosto ingannevolmente chiamati “studi principali” – era una cosa assolutamente fuorviante, perché quelli non erano affatto studi principali, ma piccoli mini-corsi assolutamente marinabili che venivano usati per riempire il curriculum tra lo studio del niente e I corsi di massimo livello. Il rettore in persona gli suggerisce questo nuovo corso appena aperto: “Computing Main Study”.
«Cosa? Intendi roba tipo usare terminali e così via?» Gli chiede Jeff ricordando vagamente i fasci di fogli di suo padre molti anni prima. Lui risponde di sì. Così, anche se Jeff non ha nessun particolare interesse per l’argomento pensa di frequentarlo comunque( ricordiamoci che in quel momento la sua idea futuristica riguardo a cosa servano i computer è solo la convinzione che stampino fatture e letture spazzatura del Reader’s Digest). Di sicuro sarebbe stato migliore di un corso di cucito o di cucina, e se non gli fosse piaciuto, era uno dei potenzialmente marinabili “studi principali”. Così si iscrive a Computing Main Study.

Naturalmente, mi piacerebbe dire a voi ascoltatori che quella è stata la scintilla che ha innescato tutto, che quel saggio e perspicace suggerimento da parte del rettore innescò una passione che avrebbe bruciato chiara e fulgida attraverso un paio di decenni. Ahimè, non fu questo il caso. Jeff Minter frequenta solo due lezioni di Computing Main Study prima di mollare.

jeff minter

E perché questo accade? Beh, accade perché un sacco di quelle persone che amano sedersi nei comitati e possibilmente finiscono per diventare consiglieri comunali decidono di ideare un metodo per insegnare una delle discipline più eccitanti del mondo nel modo più noioso e spiacevole immaginabile.
La genialità del corso stava nell’essere gestito in modo da rimuovere completamente qualsiasi nozione di interattività dall’esperienza informatica. Forse fu un ritorno ai tempi in cui anche le telescriventi erano dispositivi rari ed eccitanti.
Nella prima lezione gli venne che avrebbe dovuto imparare un linguaggio chiamato CESIL. E cosa diamine è il CESIL? Si chiese Minter. Beh, è una specie di linguaggio sintetico per scopi puramente educativi e durante quella prima lezione, gli fu insegnato il comando per stampare e la sintassi appropriata per usarlo. Poi arriva il momentodi scrivere i programmi in CESIL.
Gli insegnanti consegnarono a tutti dei fogli di carta quadrettata per scriverci sopra a penna il codice del programma. Una volta fatto, i fogli vengono raccolti e messi dentro una busta dall’insegnante. Via posta i fogli saebbero stati spediti altrove, in un posto dove i programmi sarebbero stati digitati da degli operatori (che avrebbero pedissequamente ed ESATTAMENTE copiato ciò che avevamo scritto gli studenti, inclusi eventuali errori di sintassi) ed eseguito il tutto su un qualche tipo di sistema che, quindi, avrebbe prodotto un output stampato, il quale sarebbe stato nuovamente inviato per posta al college per far finalmente vedere il risultato agli studenti la settimana successiva.
Per Minter tutto questo è già abbastanza. Se usare il computer significa aspettare una settimana per ottenere un paio di righe di output o un messaggio di errore di sintassi, il gioco non fa per uno come lui.

jeff minter
Quella doveva essere la fine della storia eccetto che per una sola cosa: i videogiochi.
A quel tempo ne ha visti alcuni – uno dei suoi fratelli ha portato a casa una delle ultime novità videoludice che gli era costata ben 40 sterline, una console Pong. E quando per giocare la collega alla televisione sembra pura magia. In quel momento Jeff già gioca ai videogiochi nei bar o nella tenda arcade di qualche fiera itinerante, tuttavia non c’era ancora nulla nel suo cervello che collega i videogiochi ai computer. I giochi sono delle Black Box che qualcuno ha costruito per fare cose simili alla magia, e i computer sono ALTRE cose che ti mandano la bolletta del gas e, a quanto pare, impiegano una settimana per inviarti un messaggio di errore se fai le cose nel modo errato.
Un giorno, non molto tempo dopo l’inizio del college, Jeff vaga in giro e scopre una stanza dove vede qualcosa di molto interessante. Un ragazzo dai capelli corvini seduto di fronte a una macchina che sembra un incrocio tra un televisione e una calcolatrice, sullo schermo c’è qualcosa che pare un rozzo ma riconoscibile videogame. Sta premendo i tasti sulla tastiera e un blob si muove sullo schermo. Io osserva da dietro le sue spalle per un po’, e poi gli chiede: « Come hai fatto ad infilare quel gioco lì dentro? » La sua risposta cambiò la vita di Jeff Minter per sempre.
«L’ho digitato» risponde.
Lo aveva fatto usando il BASIC, che la macchina che stava usando era qualcosa chiamato “Commodore PET”. «se impari un po’ di BASIC, puoi far apparire i videogiochi sullo schermo» aggiunse. Fu in quel momento che il vero percorso educativo di Jeff Minter cominciò.
Va dritto alla biblioteca del college e trova un libro sul BASIC. Durante il viaggio in autobus dal college a casa, esamina il libro e comincia ad avere i primi sentori di come funziona – è un po’ come l’algebra, ma non del tutto. era un intero nuovo mondo.
Quando scende dall’autobus gli gira la testa. Vuole iniziare subito a fare qualcosa.
Suo fratello lavora per l’AA (Automobile Association) ed ha in prestito una calcolatrice programmabile TI-59 fornita con un libretto pieno di programmi esemplificativi. Quando rientra in casa, va nella sua stanza e gli sequestra il libretto per vedere se può usare di uno di quegli esempi come punto di partenza per il suo primo programmino in BASIC.
Il porting di un programma di bioritmi da un linguaggio per calcolatrice che non ha mai usato è il suo primo programma.

Il giorno dopo, i suoi genitori assistono ad un evento mai accaduto prima: Jeff si alza presto per andare al college. Non era mai successo prima – MAI – quindi causa un po’ di shock quando diviene un’abitudine. Quel primo giorno Jeff arriva al college prima di chiunque altro e va dritto a cercare il Commodore PET. Si aggirai intorno allo sconosciuto dispositivo in cerca dell’interruttore d’accensione, e una volta acceso vede per la prima volta qualcosa che sarebbe diventato molto familiare: un quadratino lampeggiante al di sotto del prompt di input. Per scrivere il codice su quella bestia non era necessario compilare moduli e inviarli chissà dove aspettando una settimana. Per gran parte della sua vita la TV era stata esclusivamente un dispositivo a senso unico, e solo in tempi relativamente recenti l’arrivo dei videogiochi aveva iniziato a cambiarla. Adesso scrive sullo schermo in questo modo che sembrava strano ma è senza dubbio ganzo.
Nel giro di poco tempo viene  raggiunto dal ragazzo dai capelli corvini incontrato il giorno prima, il quale si presenta come Mark ‘Raptured’ Rawlinson. Frequenta giusto il corso di informatica di livello “A”, è un secchione. Esamina il codice e lo aiuta a sistemare un paio di errori.

Nel corso delle successive due settimane, Jeff si ambienta nella società dei geek. Incontra altri turbogeek : Trascorrono l’ora di pranzo e le pause raggruppati attorno al PET, inserendo il codice o guardando qualcun altro inserire il codice. Devono essere i primi ad entrare nel college la mattina e gli ultimi ad essere cacciati fuori dagli addetti alle pulizie la sera. Non esiste un manuale per il PET, quindi imparano quello che possono sperimentando, o da occasionali stralci di informazioni raccolte su oscure riviste. Fuori, nel mondo reale, gli altri studenti fanno le loro cose proprio come in qualsiasi altro college ma loro no. Loro eravamo adoratori della luce di quel piccolo schermo.

I geek del Sixth Form vedevano anche i videogiochi con occhi nuovi. Sapevano che mentre gli oggetti sullo schermo si muovevano, dentro la macchina dei valori venivano incrementati e decrementati per farli muovere. Sapevamo che erano stati fatti i confronti di posizione per rilevare quando gli oggetti collidevano. Sapevamo che dietro a tutto quello, linee di codice scorrevano via orchestrando, regolando …

E volevamo un po’ di quell’azione…


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.