Non ci crederete, ataritecari, ma fino all’arrivo sulla scena di Pac-Man, Berzerk di Stern Electronics è il videogioco arcade più popolare fra i videogiocatori statunitensi.
Con oltre 50.000 unità distribuite – un risultato enorme in quel mercato embrionale del 1980 – il frenetico sparatutto di Alan McNeil ti permette di guidare un pazzo suicida in un labirinto infinito e pieno di robot psicotici, tutti dediti alla distruzione immediata e completa del player. I droidi, determinati a rendere ben chiare le loro intenzioni, abbaiano frasi poco carine nei confronti del giocatore. Robe che suonano tipo così: […] che e se le si traduce in italiano significano “Distruggi l’intruso”, oppure così: […] che vuol dire “L’umanoide non deve scappare” e cose simili. Ci sono anche espressioni colorite come […] che poi vorrebbero dirti che sei un pollo e dovresti combattere per bene come fanno robot!”
Insieme al suo audio rivoluzionario – uno dei primi esempi di sintesi vocale nei giochi arcade – Berserk offre altri elementi innovativi, inclusa una rudimentale intelligenza artificiale, con nemici robot che spesso commettono errori (qualcosa che i giocatori possono sfruttare a loro vantaggio, “incoraggiando” i droidi a distruggersi a vicenda), e che è anche una cosa che ha influenzato Eugene Jarvis nel suo Robotron: 2084, gioco che a sua volta influenzerà molti altri titoli a cascata fino a giungere a Smash TV di Williams e altri ancora, collegando il tutto in una ipotetica catena di influenze che può arrivare fino ai giorni nostri.
Dal canto suo, Alan McNeil è sempre stato affascinato dai videogiochi. Da giovane giocava a Stratego, è vero, ma quando entra al college è lì che si ritrova improvvisamente circondato da attrezzature all’avanguardia. «PLATO, una rete di straordinari terminali di computer grafici per l’istruzione assistita dal computer, era arrivata al campus!», ricorda McNeil. « …e grazie alla sua dimensione – circa 1.000 terminali negli Stati Uniti – era la piattaforma perfetta per sviluppare i primi giochi in rete».
Alan ricorda ancora le chat room e i forum che vi nacquero sopra molto prima dell’arrivo di Internet, e i giochi rozzi ma divertenti che consentivano di giocare a combattimenti aerei online, «facendo esplodere qualcuno che stava giocando in uno stato diverso!».
Una volta terminato il college, McNeil cerca un impiego. Si ritrova a lavorare presso la Dave Nutting Associates di proprietà della Bally/Midway, un’azienda che aveva già creato i giochi arcade Gunfight e Seawolf . Lavora sui sequel di entrambi i titoli e sul Bally Arcade (« era la console che avrebbe dovuto battere Atari, ma Midway non riusciva a costruirle senza friggere il chip principale con l’elettricità statica, quindi la maggior parte delle unità uscivano dalla linea di produzione già morte »), e quando per Alan diviene fulgido che avrebbe trovato la sua via di realizzazione lavorato su videogiochi arcade, chiede a Dave Nutting il permesso di progettare un suo proprio videogioco. Ne ottiene un rifiuto abbastanza secco da parte di Dave, a causa della sua mancanza di esperienza ( così disse ), e così, infastidito dal sentirsi dire che non era abbastanza bravo per fare qualcosa, Alan inizia a cercarsi un altro lavoro da un’altra parte.
«Avevo già alcuni giochi primitivi di altri in esecuzione sul mio terminal computer Sol-20 , incluso un titolo in Basic che si chiamava Robots». ( Robots, nel regno Unito è noto anche come Daleks, dai cattivi nella loro popolare serie TV di fantascienza Doctor Who. Dai, i Dalek! Quei bidoni metallici fatti a forma di saliera… ). Spiega Alan:. «Robots era goffo, ma ho pensato che un gioco più fluido tipo ‘schiva i robot che stanno cercando di ucciderti’ sarebbe stato fantastico.»
In breve tempo, Alan trova un’opportunità di lavoro: una filiale della Stern Electronics ha bisogno di un programmatore che modifichi una scheda controller per un flipper Bally su licenza. «Ho chiesto se potevo realizzare un videogioco dopo aver risolto il problema del flipper, e loro hanno detto di sì».
Forse a causa delle troppe sessioni notturne giocando a Robots, Alan sogna un videogioco in bianco e nero con un omino stilizzato e numerosi robot che si avvicinavano a lui: «Era solo qualche secondo onirico di azione, ma è stato esattamente il primo passo che ho fatto per realizzare il mio gioco.» Graficamente in Berserk, i robot dall’occhio mobile sono forti debitori verso i Cyloni di Battlestar Galactica; e in termini di gameplay, la versione iniziale è come una versione in tempo reale ed estremamente intensa di Robots. «Ma era troppo difficile, anche con solo sei robot», afferma Alan. «Il gioco privilegiava troppo i robot: di tanto in tanto si eliminavano l’uno con l’altro, è vero, ma il tempo medio di gioco per una vita del giocatore era di circa sei secondi: troppo poco. Non andava bene.»
È qui che Alan McNeil applica la sua personale regola dell’intrattenimento. Prende come riferimento il prezzo di un biglietto del cinema e lo divide in centesimi al minuto, in questo modo calcola il tempo di gioco che doveva spettare al giocatore per il suo quarto di dollaro. « Ho fatto i calcoli ed è venuto un tempo fra i tre e i cinque minuti, quindi il mio obiettivo era consentire ai principianti di durare almeno tre minuti. Era necessario un aiuto per sconfiggere i robot, quindi ho armato il protagonista di pistola laser, ma i robot schivavano comunque i colpi troppo rapidamente e arrivavano al giocatore da troppe direzioni diverse. Anche far rimbalzare il colpo laser del giocatore sui muri perimetrali non aiutava. Alla fine dovevi evitare i tuoi stessi colpi e in più i robot».
La chiave di Berzerk, che poi è quello che lo distingue dal suo ispiratore “Robots”, è l’aggiunta di pareti interne. Alan crea un semplice schema per la generazione di un labirinto composto da un massimo di 64.000 stanze create semi-casualmente, ma nonostante questi miglioramenti, lo considera ancora un gioco imperfetto: «Era fluido e divertente, ma i robot aprivano il fuoco tutti insieme ed erano mortalmente precisi. Inoltre, c’erano robot bloccati nelle sezioni centrali a cui non si riusciva a sparare, e i giocatori non erano per niente incentivati ad andarsene dalla stanza una volta eliminati tutti i robot, quindi rimanevano all’interno a bighellonare. Così McNeil mette in gioco Evil Otto. Una pallina psicotica saltellante che appare se passi troppo tempo nella stanza. Il suo aspetto lo prende di peso dallo SMILE che andava tanto di moda al tempo e che Dave detestava con tutto il cuore, e il nome lo prende da Dave Otto, il sadico capo della sicurezza che aveva terrorizzato Dave durante il suo periodo in Nutting Associates, chiudendo lui e i suoi colleghi fuori dall’edificio per imporre loro la pausa pranzo a mezzogiorno, così come diffondendo musica non sempre bellissima tramite altoparlanti in ogni stanza dell’edificio, pure nei bagni.
Otto viene direttamente verso di te e distrugge qualsiasi robot incontri sul suo cammino ( risolvendo il problema dei robot confinati in luoghi inaccessibili) e l’unico modo per sfuggirgli è scappare da una delle aperture nel bordo schermo.
A questo punto, il gioco è già in gran parte il Berzerk che conosciamo oggi, almeno in termini di gameplay di base. Le modifiche successive comportano l’aumento graduale del numero dei proiettili che i robot possono sparare. «Ho fatto in modo che il gioco tenesse a memoria il numero delle stanze che lasciavi dopo aver ucciso tutti i robot e ho usato quel conteggio per determinare il numero dei proiettili che i robot possono spararti»
Anche il movimento dei robot viene modificato; la loro velocità aumenta con il progredire dei livelli e tale velocità diventa frenetica insieme alla loro animazione. «Non volevo vedere nessun piede scivolare sul terreno; tutto deve essere conseguenza di un movimento. Dopo tutto, mi sono laureato in design realizzando sette minuti di animazione, no?», scherza Alan. Su una nota più seria, spiega: «Per coinvolgere qualcuno in un gioco, non può esserci nessuna dissonanza cognitiva – nessun momento in cui chi gioca può pensare: ecco, qui ‘non sembra reale, non è fatto bene’. Pertanto, mi sono assicurato che, anche se i robot nei primi livelli ruotano lentamente gli occhi, quelli nei livelli successivi lo facciano velocissimamente».
Tuttavia, il design dello sprite principale ha un piccolo spazio tra la testa e il corpo, che ha portato i giocatori più esperti a inventarsi e sfruttare il famoso trucco del “papillon antiproiettile“. «Quando il player corre, il corpo si muove su e giù, ma durante i test abbiamo avuto un giocatore straordinario che poteva fermarsi abbastanza a lungo da far passare il dardo laser attraverso lo spazio fra testa e corpo e poi proseguire la partita mentre combatteva ai massimi livelli», ricorda Alan.
Nonostante tutte le ottimizzazioni apportate al gameplay di Berzerk, è stato un altro elemento aggiunto durante lo sviluppo a rivelarsi una delle componenti più memorabili del gioco: la sintesi vocale. Mentre combattono freneticamente contro il giocatore, i robot avversari lo minacciano continuamente. Ed è curioso pensare che proprio dal lato sonoro, originariamente il gioco non era un gran ché ed emetteva suoni tipo flipper. Stern aveva prodotto molti flipper in precedenza ed aveva già dei suoni “allegri” e “vivaci” in suo possesso. Avrebbero inteso usare quelli.
Tutto cambia quando un venditore visita il sito durante lo sviluppo di Berzerk e cerca di vendere un “chip vocale” che in realtà dovrebbe essere destinato ad assistere i non vedenti. «Speravano di ottenerlo per usarlo nei giochi, l’effetto sembrava molto robotico», dice Alan, notando che era limitato a circa 20 parole del vocabolario. E continua: «Il chip utilizzava hardware personalizzato per creare sibili e toni che si potevano assemblare in parole.» Per Alan, l’ideale stava nel poter settare i chip per poter riprodurre qualsiasi serie di parole, purché si adattassero alle minuscole dimensioni dei chip già in uso nella circuiteria del gioco.
In grandi quantità, poi, il prezzo non era più un problema, e quando il capo chiede ad Alan se gli piacesse usare quel nuovo componente nel suo gioco, nessuno lo trattine più. «Ci ho pensato subito», conferma. «L’interfaccia era semplice: inserisci un numero che indicizza la parola e un numero di tono».
Il trucco per rendere il sistema un successo, secondo Alan, è stato tutto lì. Fare in modo che i robots parlassero faceva sembrare la caccia al giocatore più realistica. Con l’aiuto di un dizionario dei sinonimi, vengono annotati quelli relativi al “distruggere” e combinati in modo tale da far riferimento al giocatore. «Mi sono venuti in mente subito i termini “intruso” e “umano””», ricorda Alan. Una delle esclamazioni più sorprendenti è l’insulto piuttosto colloquiale di “pollo”. A volte usato in frasi come “Uccidi il pollo”, si può sentire quando un giocatore scappa da una stanza senza distruggere tutti i robot. Uno dei nemici grida: “Pollo! Combatti come un robot!”
L’aggiunta un po’ strana di “pollo” come insulto al giocatore è avvenuta durante il playtest. Alan ricorda come uno degli ingegneri giocava e correva per le varie stanze senza sparare a nessuno.
Solo per lui è stata aggiunta la parola “pollo”.
Una volta individuate le minacce e gli insulti dei robot, Alan scopre di avere ancora spazio sul chip per qualche altra parola. Decide, quindi, di migliorare l’Actractive Mode di Berzerk, che a questo punto viene fornito di una demo visiva e una tabella dei punteggi più alti. «Dopo averci pensato un po’, ho aggiunto la frase “Monete rilevate in tasca“, che aveva lo scopo di incoraggiare gli avventori a giocare», ha spiegato. «Una volta, un cliente di un bar mi ha chiesto come faceva il gioco a sapere che aveva ancora dei quartini in tasca – e allora li ha introdotti fino a esaurirli solo per vedere se il gioco se ne sarebbe accorto! Sono rimasto sorpreso da quante persone pensavano che ci fosse davvero una sorta di rilevatore di monete nel cabinato.»
Un’ultima importante modifica al gioco comporta l’introduzione del colore, motivata da un gioco rilasciato durante lo sviluppo di Berzerk, e che utilizzava pellicole colorate applicate sullo schermo per far sembrare che avesse realmente dei colori.
«Non ricordo che gioco fosse, ma i miei capi stavano andando fuori di testa», dice Alan.
«Pensavano che Berzerk – che all’epoca era in bianco e nero – non potesse competere con i concorrenti senza il colore».
Il problema è che non c’è modo di permettersi un nuovo set hardware a colori. Altri ingegneri si daranno da fare per rimediare mentre Alan vivrà nel terrore dei cambiamenti che potrebbero apportare.
Gli sarebbe piaciuto progettare il gioco a colori fin dall’inizio piuttosto che inserirlo brutalmente durante l’ultimo mese di sviluppo, e descrive il risultato finale come “strano”. E infatti un po’ lo è: il player è verde brillante, i muri circostanti blu e i robot cambiano colore man mano che si procede nel gioco. Ma Alan non è convinto. È infastidito dal fatto che quando il giocatore si avvicina troppo ad un robot o a una parete, parte del colore verde del player li contamina.
«Tuttavia, se accade con i robot di solito sei già morto prima di accorgertene», commenta Alan.
Nonostante siano stati fatti alcuni compromessi, soprattutto sulla base dei costi, è giusto dire che Berzerk ha ampiamente soddisfatto la visione originale di Alan McNeal. La sua combinazione di gameplay frenetico, audio rivoluzionario e distruzione sfrenata ha trovato un’accoglienza estremamente favorevole, e in più se il giocatore riesce a ottenere uno dei primi cinque punteggi più alti, può inserire iniziali che vengono immortalate da un sistema di backup a batteria che le preserva in tabella anche se l’alimentazione del cabinet è scollegata.
La domanda è talmente alta che quasi subito Stern Electronics inizia a produrre Berserk in grandi quantità. Un nuovo edificio e tre turni di produzione sono necessari per tenere il passo con la domanda e vengono prodotte 300 unità al giorno. Questo nonostante l’iniziale joystick ottico non funzionasse bene e alla fine viene sostituito con uno tradizionale. «Il gioco ha funzionato così bene perché gli operatori lo hanno apprezzato per la sua capacità di ripetizione e la sua longevità», spiega Alan. «Alcuni giochi venivano abbandonati dopo un mese perché i bambini si annoiavano facilmente, ma tornavano sempre a Berzerk. Pac-Man alla fine segnò la fine del dominio di Berzerk, ma anche quando arrivò, Berserk continuò a guadagnare bene per un po’ ».
Il successo del gioco fece sì che presto seguissero le versioni casalinghe per le console Atari e Vectrex, anche se i ricordi di Alan per queste iterazioni sono tutt’altro che affettuosi: «Non avevo niente a che fare con le conversioni. La prima volta che ho sentito parlare dell’accordo è stato tramite un responsabile. Mi disse che Stern Electronics aveva venduto i diritti ad Atari per realizzare il gioco casalingo e Atari aveva pagato 4 milioni di dollari: capitalismo della proprietà intellettuale al suo apice. Il mio stipendio all’epoca era di soli 30.000 dollari… E le conversioni non funzionavano bene, perché non avevano i valori giusti per tutte le modifiche che avevo apportato. Sembravano più rozze rispetto all’originale».
Dopo Berserk, Alan McNeil continua la sua ascesa professionale creando programmi come Director e MediaMaker per un’azieda chiamata Macromind, che poi si evolverà in MacroMedia. Mentre Stern, nonostante gli sforzi, in sala giochi non raggiugerà mai le vette raggiunte da concorrenti come Atari e Midway, diverrà comunque uno dei più grandi distributori secondari nel mercato arcade, producendo e distribuendo titoli memorabili come Scramble (1981), Super Cobra (1981), Amidar (1982), Bagman (1982), Tutankham (1982), Pooyan (1982). Riuscirà perfino a cavalcare la moda momentanea dei laser games con Cliff Hanger, gioco basato su due anime di Lupin III pubblicati al cinema alla fine degli anni ’70.
Dopo tutti questo, Alan McNeal è giustamente orgoglioso della sua stessa creazione e, nonostante le frustrazioni che ne derivano, considera l’hardware originale e limitato una componente importante del successo finale del gioco. «Per la progettazione i vincoli sono una cosa positiva: un gioco non ha bisogno di un rendering 3D super realistico per essere divertente». E quando si parla di un classico come Berzerk non possiamo che essere d’accordo con lui.
FONTI
Numero 47 della rivista “Retro Gamer”
https://thedoteaters.com/?bitstory=bitstory-article-2/berzerk