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David Braben’s FRONTIER ELITE II – Quanti bei paesaggi spaziali, signora mia

Reading Time: 8 minutes

frontier elite

 

Perché ci piace lo spazio? Perché vogliamo spingerci là dove nessuno uomo è mai giunto prima?
Proverò a darvi delle risposte.
Prima di tutto lo spazio è fichissimo. È un posto buio, freddo e sconfinato dove ci puoi trovare di tutto. Monoliti vaganti fatti apposta per generare la vita su pianeti che non se la meritano. Meteoriti sparati a tutta velocità contro altri pianeti che invece se lo meritano. E la Terra è lì, piccola e indifesa che prova a disfarsi delle proprie scorie nucleari ammucchiandole sulla luna e poi succede un casino. Ah, quante cose possono accadere lassù che poi ce le ritroviamo quaggiù.
Ultimamente, però, devo ammettere che la corsa allo spazio si sia un po’ disamorata delle grandi distanze, e a parte andare su e giù per la stazione internazionale, l’esplorazione spaziale è diventata esclusivo appannaggio di qualche serie Netflix o dei vecchi classici Urania. Ma è sempre stato così? Veramente la nostra massima aspirazione esplorativa si limita ad attendere Obi-Wan su Disney+? Non ci giurerei, ma nel 1993 non era così. Nel 1993, David Braben, programmatore, ci portava veramente nello spazio seduti di fronte al nostro Amiga, e FRONTIER:ELITE II era tutto quello che aveva da dire sulla faccenda.

 

Il 1993 è uno dei miei migliori anni in assoluto. Non solo mi compro un Amiga 600, ma lo ottengo insieme a una copia originale di Frontier: Elite II, uno dei tanti giochi che avrebbe preso il controllo della mia vita. All’inizio non ci capisco assolutamente nulla e devo percorrere una curva di apprendimento abbastanza lunga, ma grazie ad esso, oggi capisco che molto prima di titoli come Grand Theft Auto e di altri open world, Frontier: Elite II è uno di quei giochi che ha provato a dare al giocatore la completa, totale libertà di andare ovunque per fare qualsiasi cosa.
In Frontier: Elite II si comincia la partita in un sistema solare vicino al Sole, con l’astronave Eagle MK II e un po’ di crediti in tasca, poi dipende interamente dal giocatore creare la propria felicità. Si può costruire un impero commerciale e guadagnare milioni di crediti viaggiando con un Panther Clipper. Si può scappare dai pirati nei pressi di Riedquat, diventare un cacciatore di taglie, uno schiavista spaziale, un ricercato interplanetario. Ci sono veramente tanti percorsi opzionali da imboccare.
Ma guardatemi adesso. Eccomi lì, seduto davanti al mio Amiga nel 1993. Mi vedete? Si che potete. Sono certo che anche voi avete fatto la stessa cosa quell’anno. Nella mia prima missione di volo nello spazio devo consegnare un piccolo pacco. È un compito banale, poco emozionante, ma incapsulato all’interno di un universo così straordinariamente grande che è impossibile non sentirsene subito parte. Senza rendermene conto, sottraggo una discreta quantità di ore alla mia vita reale per trasportare pacchetti tra Sol e la stella di Barnard, e guadagno un misero salario come parte dell’esercito della Federazione. Non sarà così per molto. Troverò il modo per guadagnare di più. Ma benché la semplicità di Frontier: Elite II non sia immediatamente abbordabile, scorrazzare in un universo di milioni di stelle non ti fa mai sentire veramente perso. Forse è questo il suo più grande punto di forza.

Ma cominciamo veramente dall’inizio…

Nel settembre 1984, da un ufficio sito in un vicolo dietro alla filiale della British Gas a Cambridge, emerge un gioco per computer che andrà a vendere più di centomila copie nel solo Regno Unito: ELITE.
Elite, per quelli di voi che hanno vissuto fino ad oggi ubriachi di rum con Jack Sparrow su di un’isola deserta nei Caraibi, è un gioco spaziale in grafica vettoriale 3D che ha fatto veramente la differenza. Si possono fare moltissime cose ma c’è un solo, unico, vero obiettivo: diventare un pilota talmente bravo da rientrare nel rango “Elite”, che è il top del top. E se adesso Elite può mostrarci solo una grafica primitiva composta da pianeti traballanti, contorni 3D di astronavi, qualche musichetta e tanti vettori colorati, al tempo viene considerato lo stato dell’arte dai commodoriani e dagli spectrummisti di tutto il mondo occidentale.
I due studenti responsabili della sua programmazione hanno entrambi vent’anni: David Braben e Ian Bell. Si incontrano al Jesus College di Cambridge e creano il gioco nel loro tempo libero usando un BBC Micro con 18Kb di RAM (poi espanso a 22Kb): uno dei primi personal computer divenuti popolari in UK. Oggi, Braben è ampiamente considerato il “Padrino del gioco” (oltre che unico detentore del marchio) ma in realtà non è stato sempre così. Emanciparsi dal suo ex-collega non è stato facile e nove anni dopo la pubblicazione dell’originale, David, senza il supporto di Bell, pubblica il sequel diretto del titolo, Frontier Elite II,  concordando di pagargli una royalty corrispondente al 10%  dei guadagni totali. L’accordo viene puntualmente onorato ma non succede lo stesso due anni dopo, con l’uscita del terzo capitolo della saga: Frontier First Encounter; sostanzialmente una revisione Enhanced del capitolo precedente per la quale Bell non riceve neanche un centesimo, e giustamente s’incazza trascinando Braben in tribunale. Altre frizioni avvengono a cavallo del nuovo millennio, quando David Braben decide di rendere pubbliche tutte le versioni dell’Elite originale ma si scorna violentemente con Bell che ne rivendica la proprietà. Adesso la disputa si è conclusa con Bell da una parte, che si è accaparrato tutti i diritti su Elite, e Braben dall’altra, che detiene tutti i diritti sui due giochi Frontier e il recente Elite:Dangerous. Insomma, i due sono lungi dall’essere nemici, e fra loro c’è una pace armata abbastanza piccante.

frontier elite
Braben e Bell: due vecchi amici non più tanto amici

Ma in cosa è diverso Elite da tutti gli altri giochi? Cosa lo rende così unico? Beh, Elite è il primo videogioco a non sentirsi né comportarsi come un semplice videogioco. È molto più grande dei suoi contemporanei e ti immerge in un universo incredibilmente reale mentre lo stai giocando. È divertente, ma anche intenso e drammatico, proprio come la vita reale.
Per la prima volta ai giocatori viene lasciata autonomia morale, cioè possono scegliere se scambiare merci in maniera legittima o trafficare in droga e schiavi correndo rischi molto alti. Inoltre non devono neanche ricominciare da capo ogni volta che “vengono uccisi”; possono salvare la loro posizione, ricominciare da lì, e continuare ad avanzare nella narrazione che loro stessi hanno creato.
Nel 1984, in un panorama videoludico dove tutti danno per scontato che una partita a un videogioco abbia una fine , metta a disposizione solo “3 vite”, consenta di realizzare un punteggio ( spesso per motivi puramente tecnici), ecco che arriva Elite. Per usare un paragone cinematografico tanto familiare ai frequentatori di questo blog: la pubblicazione di Elite sul mercato dei videogiochi del 1984 è come la proiezione di Apocalypse Now in un tempo in cui nei cinema proiettano solo commedie mute. È una bomba atomica.
Per questo, David Braben è molto stimato nel mondo dei videogiochi  e molti programmatori pellegrini, di tanto in tanto, lo rintracciano a casa sua, a Cambridge, per chiedergli dettagli più accurati sul codice macchina del gioco, o più semplicemente per farsi firmare una copia originale o il famigerato “manuale di addestramento” incluso nella confezione.

 

Arriva Frontier: Elite II

Una volta chiarito il fatto che anche quando il giocatore consegue il rango di “Elite”, non compare alcun messaggio del tipo: «Congratulazioni, hai finito il gioco, ora puoi andare a farti l’aperitivo in centro con i tuoi amici» ma si continua a volare,  succede che David Braben decide di creare un secondo capitolo di Elite migliore di Elite, ed ecco che ci regala Frontier.
Nel 1993, a distanza di 9 anni dal primo gioco, il mercato hardware è completamente rivoluzionato. I computer a 8 bit sono scomparsi e quelli a 16 bit regnano con tutti i conseguenti surplus che permettono di godere.
Corre l’anno 3200 e Frontier: Elite II include un universo (quasi) infinitamente grande. Ci sono circa 100 miliardi di sistemi stellari per galassia. La cartografia stellare è riprodotta fedelmente a quella reale e si può volare fino ad Alpha Centauri o L’Orsa Maggiore, il resto è generato più o meno casualmente dal programma.
La pirateria è dilagante e l’universo è in uno stato di guerra fredda. C’è l’Impero, che è fondamentalmente il cattivo (ma questo non ci impedisce di lavorare per esso perché offre più missioni da compiere). La Federazione, che sono i bravi ragazzi e hanno la Terra come capitale; e gli Indipendentisti, che non stanno ad ascoltare nessuno. Di solito i sistemi stellari appartengo a qualcuno di questi tre attori, ma ci sono anche sistemi in cui la Federazione occupa un pianeta, l’Impero un altro, e gli indipendentisti un altro ancora. Insomma, un più che probabile casino.
Si inizia a giocare nei panni del nipote quel capitano Jameson che era protagonista del primo Elite, con 100 crediti in tasca e un’astronave di base. L’obiettivo è sempre quello: diventare un pilota d’Elite, e lo si può fare distruggendo il maggior numero possibile di navi nemiche (senza farsi scoprire dagli sbirri stellari che altrimenti ti piazzano una taglia sulla testa) e completando il maggior numero di missioni.
All’inizio si tratterà di missioni di recapito pacchi, ma man mano che si progredisce ci saranno missioni di assassinio, spionaggio, e anche missioni di bombardamento. Stavolta si può avere un grado militare sia per l’impero che per la federazione, ed entrambi i tipi non si escludono a vicenda. Naturalmente si può anche scegliere di non lavorare affatto per i militari e a quel punto si dovrà fare molta attenzione alla propria reputazione. Se non si consegna i pacchi in tempo, se non si adempie ai contratti stipulati, la reputazione diminuisce e non si può più accedere a quel tipo di missioni dove si può guadagnare più denaro.
Ogni volta che si attracca a una stazione spaziale o si atterra su un pianeta, si può scambiare merci sul mercato, aggiornare o riparare la nave, acquistare un altro tipo di astronave, parlare con la polizia (per pagare le multe), o leggere il Bulletin Board (BB). Il BB ha un ruolo molto importante nel gioco. Attraverso di esso si può imbarcare passeggeri, assumere personale di bordo, acquistare e vendere merci illegali, trovare ingaggi da sicario e pacchi da trasportare, talvolta si trovano anche offerte eccezionali per il carico che si sta trasportando. Una specie di irrinunciabile guida galattatica per autostoppisti.

 

Il motore grafico è uno dei migliori disponibili all’epoca. Ci sono poligoni mappati a trame e superfici curve. Sfortunatamente i colori sono un po’ scadenti perché il gioco è sviluppato su Amiga e quindi solo 16 colori su 256 sembrano essere utilizzati per la maggior parte del tempo. D’altra parte, il colore della stella più vicina determina la tonalità di tutti gli oggetti, il che è un bel tocco.
La parte migliore del motore grafico è l’immensa quantità di dettagli che mostra. La sensazione di volare su un pianeta e veder crescere lentamente la sua atmosfera è abbastanza sorprendente. Lo stesso vale per il decollo da uno spazioporto vicino a una città; vederli allontanarsi lentamente attraverso il finestrino sul retro è una goduria (con la parabola del ricevitore che ruota sempre sulla parte posteriore). Man mano che ci si avvicina agli oggetti, la quantità di dettagli aumenta, così, ad esempio, si può leggere le scritte sui cartelloni. È un’altra finezza molto apprezzata dal videogiocatore del 1993.
Scrivere con così tanto entusiasmo di un titolo come Frontier: Elite II alle soglie del 2020 è paradossale, lo so. Ancora di più lo è se si pensa che David Braben ha rilasciato il quarto capitolo della saga, Elite: Dangerous, giusto cinque anni fa su PC per poi portarlo anche su PS4 nel 2017. Frontier: Elite II  ha un bell’aspetto, certo, ma non può certo lontanamente avvicinarsi a quell’effetto wow che un trailer come questo qui sotto può suscitare nel videogiocatore moderno.

 

Nonostante questo, non lasciatevi ingannare dalle dimensioni dell’universo. È enorme come è sempre stato e sempre sarà. È indubbio che noi non riusciremo a vederlo, caro ataritecaro, sia che ci mettiamo a giocare a Frontier: Elite II, sia che ci mettiamo a giocare a Elite: Dangerous.
David Braben ha provato ad aiutarci con i suoi giochi, a regalarci la meraviglia di ammirare eclissi interplanetarie, ad evitarci il fastidio di morire in un modo bruttissimo nel vuoto cosmico. I videogiochi della serie Elite sono molto, molto buoni a svolgere il loro lavoro sotto questo punto di vista. Frontier: Elite II è uno dei più vecchi ma è rimasto nel mio cuore per molto tempo. Dopo tutto, occupa solo 620 KB (esclusi i giochi salvati), e nel cuore ho sempre un sacco di spazio. Mi piace ricordare di quando facevo il mercenario imperiale e mi stufai, così passai a fare il minatore, poi il contrabbandiere, e insomma, mi davo sempre da fare per diventare la persona più ricca del MIO universo. E voi? Avete mai volato nell’universo di Elite? Ditemelo nel gruppo Telegram!


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

7 thoughts on “David Braben’s FRONTIER ELITE II – Quanti bei paesaggi spaziali, signora mia”

    1. Non dirlo a me. Ti rendi conto che è stato il mio primo gioco per Amiga in assoluto? Cioè, io sono stato introdotto alla libreria videoludica di Amiga da David Braben! Con il senno di poi, per un appassionato di fantascienza come me è stato il top.

  1. Non conoscevo tutta questa storia, ho Elite: Dangerous nella mia lista desideri da anni ma ho sempre ignorato che avesse dei trascorsi così nobili. Alla fine non me la sono mai sentita di affrontarlo anche se, da appassionato di astronomia e fantascienza, il genere mi è sempre piaciuto moltissimo. Diciamo che dopo aver giocato qualche decina di ore a X³: Terran Conflict, ho maturato l’amara consapevolezza di non avere più il tempo, e forse neanche il piglio, di star dietro a giochi del genere.
    Nonostante io non abbia mai giocato a Frontier: Elite II, vedere il video tributo mi ha subitissimo fatto tornare alla memoria un altro gioco di quegli anni che invece ho straconsumato, LHX Attack Chopper del 1990, di cui conservo ancora gelosamente il floppy! Non aveva la profondità di Elite II ma era immediato e divertente, mi ricordo che a volte mi mettevo in volo col mio elicottero e la distanza da percorrere per raggiungere la base da distruggere era talmente ampia che nel frattempo potevo andare a fare merenda e al ritorno trovare ancora l’elicottero sempre in volo verso l’obiettivo. Altre volte invece venivo intercettato da elicotteri nemici e venivo abbattuto come un pirla perchè ovviamente a bordo non c’era il pilota, era in cucina a farsi di paninazzi con la mortadella e aranciate! 😀

    1. 🙂 Ma infatti, secondo me, questo tipo di gioco non è più tanto un gioco quanto una simulazione vera e propria. Anche Elite soffre dello stesso “difetto”: si cerca di riprodurre talmente fedelmente l’esperienza del volo spaziale che il “giocare” ne risente e viene sacrificato. Lo stesso era LHX Attack Chopper.
      E comunque, si, ora come ora, con l’età che ho, mi rendo conto anch’io che non avrei mai abbastanza tempo per sviscerare e godermi a pieno giochi del genere. Dove le trovo 300 ore( minimo) per padroneggiare Elite:Dangerous? Sono fuori target, ormai.

      1. Eh si, trovare 300 ore per me sono pura utopia ormai, ma il fatto è che non riesco più a trovarne nemmeno 50 per finire un gdr qualunque. L’ultimo ho dovuto iniziarlo 3 volte perchè passava troppo tempo da una partita all’altra e ogni volta non mi ricordavo particolari di trama e missioni che servivano per andare avanti, quindi ricominciavo da capo. Quando ho preso atto che non era più un piacere ma solo un giramento di scatole ho piantato lì tutto.
        Ecco perchè negli ultimi 2 anni ho riscoperto il NES, gli arcade e soprattutto gli indie su pc, per immediatezza, velocità ma anche, in alcuni casi, originalità e senso artistico.

        1. Ste84, a me gli indie su PC attraggono un casino. Anni fa c’era un grande blog che trattava l’argomento e io lo seguivo sempre: http://www.idealsoftblog.it/
          Purtroppo, come puoi verificare, il suo tenutario lo ha abbandonato con la fine del 2013 e io sono rimasto orfano della mia unica fonte di approvvigionamento indie. Successivamente non ho più avuto né la voglia né la pazienza di trovare altre fonti e affezionarmici.
          Dispiace perché era proprio un gran bel Blog.
          Addirittura, per un breve lasso di tempo ho anche sperato che la nuova console Atari VCS diventasse un ottimo ricettacolo per quel tipo di software. Una specie di culla dedicata a quelli che non volevano essere troppo mainstream, ma poi, lo sai, il progetto è andato a farsi benedire e adesso sono proprio un uomo triste.

          1. Ormai è da 78 anni che mi è venuta la fissa per gli indie, credo che più o meno sia iniziato tutto quando è uscito Limbo su pc. Inizialmente era solo il piacere di giocare a qualcosa di “diverso”, in parte o totalmente slegato dalle logiche di mercato a cui devono solitamente sottostare i titoli AAA (penso a titoli come Papers Please, ad esempio, una perla che poteva uscire solo da uno studio indipendente). Poi negli ultimi 2 anni è diventata anche una necessità dettata dalla drastica riduzione del mio tempo libero, dove l’immediatezza di molti indie è diventata fondamentale per non dover attaccare il controller al chiodo definitivamente.
            Con le fonti comunque mi è capitata la stessa cosa, seguivo un canale yt chiamato malfapc che trattava molti indie facendo anche una rubrica dove ne inseriva diversi in pochi minuti ma è chiuso da 3 anni. Gran peccato perchè lui era bravo e la materia interessante, ancora adesso gioco con piacere a molte gemme che ho scoperto o che sono stato invogliato all’acquisto grazie a quel canale (che comunque è ancora lì, se uno volesse recuperare qualche titolo ante 2017) tipo FTL, Volgarr, Don’t Starve e molti altri.
            Anche io dopo questa chiusura non ho più cercato altre fonti fisse, mi limito a seguire le uscite indie su steam e gog e buttare in wishlist quello che mi ispira in attesa di capire se procede all’acquisto o meno, fine.

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