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GAUNTLET: morto e risorto per 35 anni

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Mi ricordo quando vidi per la prima volta Gauntlet, intorno alla metà degli anni ’80. In sella alla mia graziella ero andato alla sala giochi di un Luna Park. Sapete quei Luna Park itineranti e parecchio tristi che si impiantavano nelle città in occasione di spumeggianti manifestazioni di vita tipo… chessò, la festa del patrono, no? Ecco. Proprio quel tipo di Luna Park lì. Quelli che quando arrivavano poi sparivano i gatti e i panni stesi, tanto per rivisitare qualche luogo comune.
Sì, lo ammetto, come ricordo d’infanzia non è che sia un granché, però a distanza di quasi trent’anni è sempre vivido, e allora uno se ne domanda anche il perché. 
Sarà perché Gauntlet riusciva a ingollare spiccioli come nessun altro? Sarà stato il suono stereo? Oppure l’ambientazione fantasy? Non so. Fatto sta che al tempo ero un brufoloso nel tunnel del divertimento e continuavo ad inserirci monetine e sparare come un forsennato. Quasi lo posso sentire ancora i suoi suoni: «Remember, don’t shoot food», oppure, «Save keys to open door». DANNAZIONE non riuscivo proprio a smettere di giocarci, e una volta finiti i soldi non la smettevo di pensarci. Aaah, era proprio un gran gioco quello. Accidenti se lo era. Ci si poteva giocare in 4 allo stesso momento ed era colorato e avvincente. Non smisi di averlo in testa neanche quando mi accorsi che mi avevano ciulato la bicicletta. ( Maledetti giostrai morti di fame ) 

 

In quei giorni amari post-crash del 1985, i giochi arcade avevano bisogno di reinventarsi per continuare a succhiare monetine dalle tasche dei brufolosi.
Due anni prima, “Dragon’s Lair” aveva mostrato una nuova via e risollevato, se pur per un breve periodo, le sorti di un settore che sembrava destinato ad un inevitabile collasso. Ma se “Dragon’s Lair” richiedeva ben 500 lire per essere giocato ( giustificandole con la sua animazioni estremamente curate e i flash visivi ), Gauntlet era andato oltre; invece di far pagare salata una partita al singolo giocatore, faceva in modo di chiamarne a sé ben 4 alla volta, incamerando quattro volte tanto rispetto a un normale videogame.
Alla luce dei fatti, adesso possiamo dire che quell’approccio è stato molto più divertente e redditizio nel lungo periodo, no?

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Beh, che dirvi? Gauntlet ha lasciato il segno per un sacco di motivi. Tecnologicamente è stato un passo avanti per l’epoca. Poteva gestire un gran numero di oggetti in movimento sullo schermo senza pregiudicarne la fluidità del gameplay, e l’alta qualità del suono digitalizzato contribuirono senz’altro alla sua popolarità.
Prima di allora, altri giochi avevano usato frasi digitalizzate. Giochi tipo “Sinistar” o “Gorf” già parlavano abbastanza chiaramente, ma Gauntlet era il gioco più loquace del suo tempo, e forse il primo ad avere un sadico senso dell’umorismo mirato al pubblico yankee.
Man mano che i giocatori avanzavano nell’azione, potevano sentire una voce che dettava loro istruzioni o avvertimenti. Molti erano i “warning” più popolari tra cui quello che si poteva sentire quando la salute di un giocatore raggiungeva un livello particolarmente basso, il che, con le barre della salute che si esaurivano costantemente, poteva essere abbastanza frequente: “Il guerriero ha un disperato bisogno di cibo!” e lì sarebbe stato il classico momento in cui uno dei compagni di squadra di quel giocatore avrebbe sparato al suo cibo in modo da farlo morire. Il secondo, conseguente messaggio vocale che ne sarebbe derivato era “Ricorda, non sparare al cibo!”. Eh Sì, perché dire a un giocatori che non dovrebbe fare qualcosa ha sempre ottenuto degli effetti concreti, non è vero?
La frase «[personaggio] needs food BADLY», poi, era un’espressione abbastanza desueta nel modo di parlare l’inglese moderno. Sapeva di naftalina ma allo stesso tempo trasmetteva perfettamente la gravità dell’avvertimento. Per noi italiani sarebbe stato come sentir parlare Brancaleone, che nel suo italiano arcaico ci informava dell’imminente morte del nostro personaggio.

 

Lo stesso dicasi anche per altre frasi, volutamente concepite per immedesimare il giocatore anglofono in un’atmosfera arcaica tipica del fantasy e allo stesso tempo alzare il livello di tensione tra tutti i giocatori rendendo la partita più eccitante.
I cosiddetti “Mook Makers” erano una firma tipica del gioco. E voi poppanti, adesso vi chiederete: «Cisa caspita sono i Mook Makers?». Grazie per la domanda, amici. Vi rispondo subito: erano tutti quei dispositivi disseminati nel gioco il cui scopo principale era quello di sputare costantemente fuori i nemici senza soluzione di continuità. Nel caso di Gauntlet potevano essere dei mucchi d’ossa o delle capannette, ma se non li si riusciva a distruggere subito vomitavano fuori fiumi di nemici con una costanza tale da soverchiare il giocatore e condurlo a una rapida morte.

 

Gauntlet è stato progettato e programmato da Ed Logg, uno dei programmatori storici di Atari, già arrivato alla fama come creatore di “Asteroids” e “Centipede” and many others. Era uno dei personaggioni di punta di Atari prima e di Atari GAMES nel 1985, perché sulla questione che esistessero due Atari distinte in quel periodo siete già informati, vero? … No. Non sento nessuna risposta da parte vostra quindi andatevi a recuperare la puntata dei Cugini Del Terribile e De Sig. Santilio dedicata ad Atari Games. Ve la metto qui di seguito.

 

Comunque, dicevo, Ed Logg era un grande ma questo non gli evitò di farsi il sangue marcio occupandosi della conversione NES di “Tetris” ad opera della Tengen, diventato involontariamente parte di una delle più famose battaglie legali della storia dei videogiochi, ma questa è un’altra storia.
Dicevamo che per Gauntlet Ed Logg venne ispirato da varie fonti, primi tra tutti i giochi di ruolo fantasy come “Dangeons and Dragons” che negli anni ’80 andavano ancora forte in America e worldwide. Comunque non disdegnò di farsi ispirare anche da giochi di ruolo per PC come “Ultima”, e in particolare, diciamocelo chiaro, da un gioco per Atari 8-bit chiamato “Dandy” con il quale le somiglianze sono talmente marcate, ma talmente marcate da sfiorare il plagio.

 

La questione della somiglianza con “Dandy” era un po’ delicata e avrebbe potuto portare a delle seccature legali con l’autore di quel gioco, in signor John Palevich,soprattutto dopo che il rilascio della conversione per NES da parte di Tengen si stava dimostrando una discreta bombetta macina soldi. La leggenda narra che Atari riuscì ad ingraziarselo regalandogli un cabinato nuovo-nuovo di Gauntlet e che il signor Palevich lo sistemò prontamente in salotto accanto al maxi televisore.
“Dungeons” era il nome che inizialmente venne scelto per battezzare Gauntlet e rimase valido fino all’aprile del 1985, mese in cui il team legale di Atari si rese conto che, orpolà, quel nome non era disponibile e lo dovette comunicare ad Ed Logg. Lui, il mese dopo, decise di ribattezzarlo “Gauntlet”. Anche i nomi dei personaggi ebbero lo stesso tipo di problema. Il guerriero si doveva chiamare “Hulk” e la valkiria “Amazon” ma dissero che la MARVEL c’aveva già pensato prima e non se ne fece più di niente.
Un’altra leggenda narra che durante la fase di test, quando il cabinato era in prova presso alcune sale giochi di fiducia, delle subdole spie di SEGA riuscirono a spiarlo ( e che fanno le spie sennò?) e addirittura fotografarlo. Sarà un caso, ma l’anno successivo, nel 1986, SEGA se ne venne fuori con quel gioco cooperativo a 4 giocatori che si chiamava “QUARTET” che… mmmh, forse è un pochino tanto copiato, sì sì.

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Infine, come detto all’inizio, è stato uno dei pochi giochi a supportare quattro giocatori contemporaneamente, e questa enfasi sulla cooperazione in multiplayer è stata la ragione principale del suo successo.
Ai vecchi tempi solitamente ad un arcade si giocava in due giocatori e questo, per la stragrande maggioranza delle volte, significava alternarsi ai comandi e competere in una gara al più alto punteggio fra i due. Con Gauntlet veniva inaugurata una nuova era di gioco, rigorosamente multiplayer e con una rappresentazione numerica della vitalità che il giocatore poteva prolungare inserendo crediti extra. Ancora più importante, Gauntlet permetteva l’ingresso indipendente e i controlli accessibili in qualsiasi momento per ogni singolo giocatore. In pratica esortava la cooperazione tra i giocatori attraverso una serie di meccaniche di gioco uniche. Un vero innovatore del gioco di squadra con il fine ultimo di incamerare più spiccioli possibile.

Ma non è finita qui, dopo lunghe peripezie i diritti sul franchise di “Gauntlet” sono stati sfilati ad Atari che nel frattempo è stata assorbita da Midway Games prima e della Warner Brothers poi, i quali hanno continuato la saga con vari sequel più o meno riusciti.


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.