Skip to content

I cani hanno padroni. I gatti hanno schiavi: ALLEY CAT di Bill Williams

Reading Time: 6 minutes

alley cat

 

Voi non sapete quanto sono stato tentato di aprire questo podcast dicendovi «andate a giocarvi il videogioco e poi tornate!», per liberarmi da ogni responsabilità e potervi parlare a ruota libera di Alley Cat, questo antichissimo videogioco dei tempi del vapore che mi ricordo giusto io e pochi altri matusa come me perché, tipo, lo potevi giocare su ogni pc funzionante nella penisola italiana, con un livello di diffusione capillare da far impallidire la versione shareware di DOOM.
Ma no, io non sono così. Ho un cuore e sono una persona giudiziosa che apprezza le sfide, e parlarvi della storia di Alley Cat e del suo sfortunato creatore senza disinnescarvi la curiosità e intristirvi ogni oltre limite legalmente consentito è una bella sfida, appunto. Una sfida che accetto con piacere perché me l’ha consigliato l’Omino dentro l’Omone, ovvero la voce della mia coscienza.

 

Sapete chi è il programmatore di Alley Cat? No? Beh, ve lo dico subito. È Bill Williams, quello di Necromancer, ve lo ricordate Necromancer? Quel videogioco del 1982 che vi fa impersonare un mago che controlla un esercito di alberi. Roba antidiluviana ovviamente; come piace a noi, no? Ma fatta con un certo carattere e un pizzico di arroganza, quel tanto che basta da trasformarla in un successo multipiattaforma addirittura ripubblicato 5 anni dopo in formato cartuccia da Atari Corp  per dare linfa videoludica al suo sistema XEGS. Da allora Williams ha pubblicato poco più di una decina di titoli in tutto, in momenti diversi, su piattaforme diverse, fino a che, nell’ultima parte della sua vita terrena ha abbandonato la professione per scoprire Dio, scrivere due saggi di teologia e lasciare le sue spoglie mortali a soli 37 anni per una stronzissima malattia che lo affliggeva da quando ne aveva 12.

[FUNERALE]

Sull’intera carriera di Bill Williams non ho nulla da dire, non perché non ci sia nulla da raccontarvi, per carità, quanto perché non sarei all’altezza di onorare adeguatamente questo gigante della programmazione che nonostante l’accanirsi di una fibrosi cistica è comunque riuscito ad avere una vita piena, costruendosi una famiglia, una carriera, e persino una rock band. Tutte cose che ho fatto anch’io, come voi del resto, ma che a paragone con lui non me ne sento minimamente degno.

 

Alley Cat, quindi, è il suo secondo videogioco. Pubblicato da Synapse Software nel 1983 è quello che forse ha più successo nel ristretto portfolio di produzione del povero Williams, ma prima di andarlo a sviscerare occorre che entri più nel dettaglio della vita di Bill, giusto per darvi un’idea delle cose da cui Alley Cat prende a piene mani spunti, ispirazioni, idee e soprattutto cazzimma.

 

Mentre impara a programmare il linguaggio assembly al college, Bill trova conforto e cameratismo nei ragazzi con i jeans strappati che fumano nel parcheggio della scuola, anche se fumare o anche solo stare con dei fumatori è praticamente la cosa più stupida che un malato di fibrosi cistica come lui possa fare. Insieme a quei ragazzi entra prepotentemente nel mondo del punk rock e decide di formare una band con tre suoi amici. Si chiamano “Sons of Thunder” e il chitarrista ha un amplificatore da 900 watt che produce tanto rumore quanto “un jet in fase di decollo” donando all’intera band l’acufene per tutta la vita. Bill suona le tastiere e urla al microfono.

Fare musica lo porta a creare programmi per computer. Cercando di trovare nuovi suoni per la band, Bill acquista un sintetizzatore che include un controller programmabile costruito attorno al MOS 6502, uno dei chip a 8 bit che hanno fatto la rivoluzione del PC. Suo padre, un ingegnere della General Motors, non approva quella deriva ribelle. Lui vorrebbe che trovasse un lavoro più stabile che urlare con voce roca ogni notte in un bar diverso, e così gli compra un Atari 800 con il velato suggerimento di sviluppare software che potrebbe rivelarsi utile nelle fabbriche della General Motors.

[CLACSON]

Ovviamente Bill ignora bellamente quel suggerimento ( altrimenti che punk sarebbe stato? Un punk poco serio, come minimo, no?) e anzi inizia a lavorare su un videogioco. È una piccola cosa che si chiama Salmon Run(1982), in cui il giocatore deve far risalire un salmone in un torrente schivando cascate, orsi, gabbiani e pescatori per tutto il tempo, per poi arrivare alle zona di riproduzione dove lo attende il vero ammmore e la pace post-orgasmica. Dolce e semplice com’è quel gioco, porta già in sé tutte le caratteristiche dei giochi di Bill Williams, ovvero: non violento, carico di metafore, sottilmente sovversivo e del tutto originale.

 

Bill scrive Salmon Run per scherzo, per puro divertimento. Ma un giorno vede la pubblicità di una nuova iniziativa di Atari. Si chiama Atari Program Exchange, che promette di pubblicare, pagando royalties effettive e tutto il resto! — i migliori programmi presentati da dilettanti allo sbaraglio e di talento proprio come lui. Coglie al volo l’occasione e invia Salmon Run che non solo viene accettato, ma diventa uno dei giochi più popolari dell’Atari Program Exchange, nonché l’ingresso ufficiale di Bill nel settore. La rivista Softline, colpita dai numerosi e vari effetti sonori di Salmon Run , lo contatta per scrivere una rubrica mensile sulla programmazione sonora su computer Atari 8bit. Gli telefona anche Ihor Wolosenko, uno dei due fondatori di Synapse Software, una società che si sta facendo un nome con i giochi per Atari a 8 bit e gli fa una proposta che non può rifiutare. Ed eccoci finalmente al nostro gioco:

 

Arrivato in Synapse Software, Bill riceve il suo primo incarico. Il programmatore John Harris sta lavorando a un suo nuovo videogioco ma è rimasto insabbiato. È un gioco veloce, in stile arcade dove il giocatore muove un gatto all’interno di un’unica schermata. C’è solo un problema. Harris è letteralmente inchiodato e non ha idea né di come sviluppare il concetto tantomeno di come evolverlo. Forse che forse questo novizio, com’è che si chiama? Ah, Bill Williams! Sì, lui!, Forse che forse questo Bill Williams può portare avanti la cosa mentre io mi dedico a qualcos’altro. Così Harris passa il testimone a Williams e Williams non se lo fa ripetere due volte: parte spedito.
Alley Cat viene pubblicato nel 1983, è uno dei tre giochi che Bill Williams produce per Synapse Software, è quello più facile e popolare in assoluto fra tutti quelli che produrrà nei successivi 7 anni di carriera, ed è ormai un cult con un notevole seguito di fan ( sempre più vecchi, ovviamente ).

 

È un’interessante miscela di minigiochi in stile arcade, meccaniche platform e coordinamento occhio/mano. Il giocatore veste i panni di Freddy, un gatto randagio che vive in un vicolo ( da lì il titolo “Alley Cat” dove alley significa, appunto, vicolo ) che cerca il suo unico vero amore (un po’ come in Salmon Run, no?). Sfortunatamente Felicia, la gattina del suo cuore, è intrappolata nell’appartamento del suo padrone. Per raggiungerla Freddy deve risalire dal vicolo saltando sui bidoni della spazzatura e appendersi allo stendibiancheria per accedere a numerose finestra alle quali corrispondono altrettanti minigiochi. Se si vince uno qualsiasi dei minigiochi si accede alla schermata finale dove, partendo dalla parte bassa dello schermo, Freddy deve risalire verso la sua amata Felicia superando le resistense dei gatti fratelli di Felicia. Una volta arrivato in cima, beh, l’amore trionfa.
Il gioco presenta costantemente una fisica selvaggia e azione da cartone animato, ed è proprio questo che gli ha permesso di invecchiare così bene.
Certo, per un giocatore moderno, abituato ai modi e i tempi dei giochi contemporanei può essere veramente difficile controllare il gattino, anche se è una delle cose che rende il gioco così avvincente. Sia la grafica che i suoni sono ovviamente grezzi, ma comunque affascinanti. Offre una sorprendente varietà e profondità, e può essere facilmente visto come un precursore di numerosi titoli arcade che si sarebbero succeduti in sala giochi o in versione domestica almeno fino alla fine degli anni ’80.
È uno di quei giochi che si può tranquillamente definire Old School e se all’università esistesse un programma per lo studio dei videogames sarebbe un corso obbligatorio per qualsiasi storico.

Alley Cat nasce su Atari 8-bit nel 1983 ma viene convertito l’anno successivo dallo stesso Williams su PC-IBM ( si, a quei tempi si doveva specificare IBM perché non tutti i Personal Computer rispettavano necessariamente lo standard IBM ) e NEC-PC. La versione PC-IBM ha però la particolarità di essere stata resa disponibile in formato self-booting Disk, un floppy disk che doveva essere letto direttamente all’accensione della macchina, ignorando il sistema operativo. Per una migliore spiegazione vi rimando alla puntata numero 55 di Atariteca dedicata ad Atarisoft dove il magico Illy di Facciamo DOS chiacchiere spiega molto meglio di me il reale funzionamento di questo tipo di supporto.
Alley Cat è forse uno dei giochi retrò più belli e lo è stato talmente tanto da essersi meritato un remake freeware per PC con grafica migliorata e nuove funzionalità. Si chiama Alley Cat Remeow edition! e il programmatore Joflof ha incluso anche una modalità per giovare in 4 player contemporaneamente. Lo potete scaricare dal link correlato a questa puntata sul sito di Atariteca Podcast.

E che vi devo dire di più? Recuperatelo in qualche modo, poi magari vi starà antipatico perché siete dei violenti è il gioco è troppo sobrio e rigoroso, ma sappiate che ad Alley Cat non gliene frega un cazzo di quello che pensate, lui ha una leggenda da perpetrare per almeno altri 39 anni. Magari non sarà il gioco che vi meritate ma sicuramente è il gioco di cui avete bisogno.

Quasi quasi ora me lo rigioco.

FONTI:
http://www.gamedesignersremembered.com/bill-williams/first-post
http://www.indieretronews.com/2020/01/alley-cat-very-classic-game-reviewed-by.html
https://www.filfre.net/2016/01/bill-williams-the-story-of-a-life/
http://frgcb.blogspot.com/2015/04/alley-cat-synapse-software-1983.html


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.