Fino al 1987 non c’erano mai stati programmatori in grado di creare opere tecnicamente maestose. Oddio, non dico che non ci fossero in generale. Sulla scena a 8 bit molti nomi si erano già distinti, ma la loro arte era ancora confinata nei limiti dell’hardware e in qualche modo subordinata ad una certa logica commerciale, salvo rare eccezioni. Poi arrivano i Bitmap Brothers a liberare i programmatori; a proiettarli in un universo di arte pura dove si lavora alla tastiera, certo, ma si crea anche un’emozione, una sensazione, un capolavoro. Questo perché nell’epoca 8 bit le rock star del mondo della programmazione erano semplicemente nate, ma con l’avvento di Amiga quelle stesse rock star avevano trovato la loro Mtv.
Se la storia ci ha dimostrato qualcosa è che chi ha intuizione amministra ciò che chi ha talento produce. Steve Kelly, Eric Matthews e Mike Montgomery quella intuizione ce l’avevano, ovviamente, e per questo diventarono i portabandiera di una nuova era di riconoscimento per gli sviluppatori di giochi. Diventarono i Bitmap Brothers. Ne parliamo oggi in Atariteca Podcast.
I Bitmap Brothers sono costituiti da un triangolo maledetto ai cui vertici stanno tre veri e propri disadattati del settore. Non tre semplici conoscenti di lavoro ma dei sovvertitori dell’ordine costituito. Prima che Leisure Genius, software house letteralmente ossessionata dalla conversione videoludica dei giochi da tavolo, venisse acquisita da Virgin Games, aveva assunto un certo Mike Montgomery come direttore marketing. A quel tempo, lo Spectrum era un serio contendente alla corona degli 8 bit e Leisure Genius era ansiosa di completare il suo catalogo di giochi da tavolo digitali includendo Scrabble; board game precedentemente concesso in licenza e pubblicato dalla stessa Sinclair Research. Il gioco era stato scritto da Steve Kelly di Psion Publishing ( un altro editore compagno di letto di Sinclair Research), che fece diverse visite a Leisure Genius per capire bene come adattare il gioco nel miglior modo possibile ed è in quella sede che i 2 si incontrano.
Ma non basta. Sia Montgomery che Kelly, avevano già fatto cose con un terzo programmatore, Eric Matthews, che nel 1986 aveva lavorato su un altro gioco di Kelly, il beat-‘em-up QL Karate, per convertirlo su Amiga e Atari ST. Nonostante le buone recensioni, però, la promozione del gioco venne fortemente limitata; una questione che non fece altro che aggravare il crescente disincanto che si stava accumulando nei cuori dei nostri eroi da diversi anni. Condividendo una buona dose di critica e risentimento, non ci volle molto prima che i tre diventassero amici e colleghi stretti, e i loro pensieri comuni riguardo l’industria dei videogiochi trovassero un ottimo humus per crescere rigogliosi.
Era evidente che Mike, Steve ed Eric condividessero un’idea comune: ritenevano ingiusto e iniquo il modo in cui l’industria dei computer e dei videogiochi prediligesse gli editori sui programmatori.
Quando i giocatori acquistavano i videogiochi, era il nome dell’editore a essere sfacciatamente ostentato sulla copertina, con la società di sviluppo che riceveva una citazione secondaria (spesso in una nota a piè di pagina sul retro della confezione), mentre i programmatori, addirittura, altrettanto spesso non venivano affatto nominati.
Dice Mike Montgomery: « A quel tempo, gli editori ottenevano tutto il merito. Non si andava in un negozio per acquistare un disco di Apple Records; si andava in negozio per acquistare un disco dei Beatles! Quando acquistavi un film, la tua decisione non si basava sul distributore di quel film, quindi, perché le persone dovevano acquistare i giochi in quel modo? Per molti aspetti, era un caso di cattiva promozione poiché l’etichetta dell’editore non corrispondeva veramente a chi aveva creato il contenuto. Volevamo cambiare tutto questo».
Modificare il modo in cui un gioco veniva distribuito al pubblico divenne l’obiettivo fondante della loro partnership e i Bitmap Brothers nacquero così; per essere il primo sviluppatore di videogiochi che non solo riconosceva i propri team creativi, ma li promuoveva anche attivamente. Questa dimensione di extra libertà e attestato pubblico di paternità avrebbe prodotto alcuni dei giochi migliori e più acclamati dalla critica a 16 bit mai visti prima.

Promuovere energicamente gli sviluppatori come filosofia fondante dell’azienda richiede una scelta attenta del nome, e la naturale inclinazione di impostarsi come sviluppatori rock star impone di scegliere un nome criptico e maschile che non sfiguri per niente in una qualsiasi classifica musicale acidhouse dell’epoca. I tre scelgono quindi una designazione pertinente, iconografica e duratura: Bitmap Brothers.
“Bitmap” lo prendono da un noto termine informatico della fine degli anni Ottanta che porta con sé le forti connotazioni di quella cura grafica che il team intende (e poi riesce) a infondere nei propri giochi, mentre il termine “Brothers”, suggerisce il rapporto strettamente collaborativo da cui è nata l’azienda.
E quella scelta pare proprio azzeccata, dato che quasi 40 anni dopo, il nome Bitmap Brothers suggerisce ancora quell’imponente sottotesto di eccellenza del settore che testimonia l’importanza di un nome ben scelto.
Lasciando le rispettive aziende nel 1987, i Bit Bros si muovono verso lo sviluppo dei videogiochi di prossima generazione. Lavorano da casa, e ogni membro del team si pone un obiettivo tenendosi in contatto con il resto del team tramite una telefonata occasionale. Una volta alla settimana si incontrano in un pub di Londra (solitamente seguito da un giretto nelle sale giochi), dove i progressi vengono condivisi, aggiornati, e i nuovi obiettivi stabiliti. Un metodo di gestione piacevole, anche se un po’ improvvisato, ma certamente uno dei pochi modi in cui una start-up di settore può iniziare.
È solo con il completamento del primo videogioco che si decide di migliorare la produttività con l’utilizzo di locali aziendali, e la sede dello studio viene trovata a Wapping, nell’East London.
Il team Bitmap è fiducioso nel suo prodotto di lancio, ma non ha ancora realizzato il suo principio fondante, ovvero, piazzare un volto della programmazione bene in evidenza sopra ai suoi giochi, e questo è molto importante al fine di definire l’immagine dell’azienda nel modo giusto, un immagine pubblica forte e ben definita sarebbe stata vitale per il successo dei titoli futuri.
L’ufficio, la presenza aziendale, tutto questo costa molti più soldi rispetto a fare le cose a casa propria e, per quasi un anno, non guadagnano niente. «Avere un ufficio è stato fantastico e ha velocizzato l’intero processo di scrittura dei giochi, ma i soldi sono sempre in cima alla lista dei problemi», afferma Mike, ricordando quei primi giorni dell’azienda. «All’inizio, significava lavorare per mesi senza paga, e poi quando inizi ad assumere persone devi pagarle di tasca tua. Ci vuole un sacco di impegno per completare un videogioco prima di riuscire a trovare un editore che lo finanzi, e quando sei una nuova attività è ancora più difficile convincere chi ha i soldi a stare dalla tua parte. Quindi una delle prime cose che abbiamo fatto è stata assumere un addetto alle pubbliche relazioni per promuoverci come team di sviluppo. Abbiamo fatto fare un servizio fotografico fantastico che ha funzionato molto bene, perché tutte le riviste hanno adorato lo stile ed erano ansiose di usarlo. Tutto il clamore che ci circondava era stato pianificato attentamente», spiega Montgomery.

In effetti, le riviste dell’epoca non sapevano davvero cosa pensare di questo nuovo team di sviluppo di alto profilo, e tuttavia non gliene importava; ottenere facilmente foto in bianco e nero di programmatori che indossano occhiali da sole alla moda e posano come fossero su una copertina di un album musicale, rende i Bitmap Brothers una preziosa merce mediatica prima ancora che i loro videogiochi vengano rilasciati. Naturalmente, tutto questo clamore richiede un gioco che sia all’altezza dell’hype modaiolo che i tre hacker stavano rappresentando e quando finalmente il gioco arriva, all’inizio del 1988, le riviste sono pienamente soddisfatte e grate di aver giustificato la loro sponsorizzazione.
Originariamente intitolato Kelly X ( poi cambiato in Xenon per timore che una beta release per Atari ST fosse fuoriuscita illegalmente da Mastertronic), il primo gioco dei Bitmap Brothers è uno strepitoso successo di critica e di vendite.
Per molti aspetti, Xenon è un tipico sparatutto, ma con così tanti elementi tipici modificati che è difficile trovargli una giusta collocazione. Invece del consolidato scorrimento laterale normalmente associato agli sparatutto, Xenon scorre verticalmente e consente un movimento libero. L’alternanza fra l’uso di un aereo e un carro armato aiuta a infondere una pseudo profondità 3D al gioco con prospettiva a volo d’uccello; i giocatori spericolati lo adorano, mentre le riviste lo pubblicizzano come il “primo coin-op casalingo” (Computer And Video Games #77, marzo 1988). In verità, se lo andiamo a vedere adesso, il tempo è stato inclemente con Xenon, e lo si perdona soltanto avendo buona memoria dell’impatto che ebbe in quel primo, iniziale periodo della storia di Amiga. In quel preciso momento storico, Xenon dimostra le vere capacità di gioco arcade di quella meravigliosa macchina a 16 bit che era Amiga, e anche l’importanza del suo mercato ancora nuovo e trascurato.
È anche il primo videogioco per Amiga ad entrare nella classifica dei primi 40 titoli più venduti in Inghilterra.
Lo scorrimento fluido, il suono fantastico e il gameplay veloce ammaliano più di qualche recensore dell’epoca, facendogli credere che si tratti di una conversione da coin-op. The Games Machine (nell’aprile ’88) da a Xenon un impressionante 88%, segnalandolo come il secondo porting di successo da coin-op Arcadia su Amiga. In verità è l’opposto. È la versione coin-op Arcadia ad essere un porting della versione domestica Amiga; una testimonianza di quanto fosse raffinato e influente il titolo di debutto dei Bitmap Brothers.
Così, 12 mesi di sviluppo precario, difficile e finanziariamente stressante danno i loro risultati quasi dall’oggi al domani, e Xenon, gioco multimediale diabolicamente ben congegnato, assicurano ai Bitmap Brothers il riconoscimento che si erano prefissati di ottenere. Come per tutti i successi, il principale ostacolo da affrontare immediatamente è quello di migliorare un risultato così importante, e i media (e in effetti, anche i giocatori), settano subito astronomiche aspettative per il prossimo gioco dei Bitmap Brothers.
Succede che Mastertronic chiede un progetto per un gioco di tennis, e i Bitmaps lo sviluppano mentre lavorano su Xenon. Quando si arriva a presentare il progetto del gioco, tuttavia, l’editore cambia idea e lo rifiuta, bloccando, di fatto, le prospettive di sviluppo di quello che sarebbe stato il loro secondo gioco. Dopo poche ore di annegamento dei dispiaceri al pub, i Bros si guardano in faccia ( forse un po’ distorta dai fumi dell’alcool ) e decidono di non abbandonare quel concept di gioco che tanti sforzi aveva richiesto e, con l’aiuto del rinomato grafico Mark Coleman, rielaborano l’idea in una simulazione sportiva futuristica chiamata Speedball. Le idee principali vengono scritte lì per lì sul retro di un pacchetto di sigarette. Dopo settimana, quel design e quel pacchetto di sigarette vengono venduti a Mirrorsoft ( non scherzo. Il pacchetto di sigarette faceva parte della documentazione ).
Una cosa di cui i Bitmap Brothers non possono e non potranno mai essere accusati è la banalità, la pigrizia o la ripetizione di un cliché, dato che l’uscita di ogni loro nuovo gioco li vede sempre affrontare un genere diverso e vincere con arroganza. Nonostante fosse un gioco sportivo futuristico, Speedball, il secondo titolo dei Brothers (uscito alla fine del 1988), viene costantemente paragonato a Xenon, e la cosa, in tutta onestà, rasenta il ridicolo. I due giochi non avrebbero potuto essere più diversi, tuttavia i Bros intrecciano così tante sfumature sottili (e non così sottili) in entrambi i giochi che alla fine, oh, si assomigliano davvero, e rendono i paragoni stranamente ragionevoli.
La lucentezza metallica, la grafica splendidamente raffinata e lo scorrimento fluido sono i tratti distintivi di un gioco Bitmap. Sembrano poca cosa agli occhi di un giocatore moderno, ma al tempo erano tutte cose che nessun altro sviluppatore non si era mai neanche lontanamente avvicinato a realizzare ed è per quel motivo che i titoli Bitmap raggiungeranno uno status di culto durante l’intero arco di vita delle macchine a 16 bit.
Ma c’è un campo in cui il team dei Bitmap non ha ancora raggiunto il suo pieno potenziale, ed è una lacuna pienamente riconosciuta e che intendono colmare nel loro gioco successivo, come ha detto Steve Kelly alla rivista ST Format poco dopo l’uscita di Speedball: « Il solo fatto di risolvere i problemi che si verificano durante la scrittura di un gioco rende tutto utile. Ad esempio, ci siamo prefissati l’obiettivo di rendere Speedball più veloce di Xenon, producendo grandi immagini sullo schermo e assicurandoci comunque che il programma funzioni senza problemi. Abbiamo alcuni dei migliori grafici in circolazione. Al momento pensiamo di non poter migliorare più di così la nostra grafica o la programmazione, ma dobbiamo concentrarci sul nostro elemento più debole: il suono».
Nel 1989, i Brothers raggiungono la piena maturità e progettano un futuro disegnato dal proprio team di artisti, profetizzato dai propri sacri programmatori e con il loro gioco successivo, ricordato nelle canzoni dei propri musicisti.
Il sequel del loro gioco di debutto viene pianificato e passato nelle mani di uno dei pochi team di sviluppo che aveva dimostrato grande talento con lo scorrimento fluido e l’attenzione ai dettagli ( tutte cose ormai sinonimo dei Bitmap Brothers ): The Assembly Line.
Xenon 2: Megablast è un sequel solo di nome, adotta uno stile sparatutto più consolidato (scorrimento verticale monodirezionale automatizzato, anche se la direzione può essere invertita di poco) insieme allo stile grafico tipico dei Bitmap Brothers. Se fosse possibile ignorare la grafica incredibilmente vivida alla Hans Ruedi Giger, giocare a Megablast con l’audio abbassato produrrebbe un’esperienza sparatutto piuttosto nella media. Ovviamente, che ve lo dico a fare? È assolutamente impossibile ignorare quelle immagini incredibili e proprio l’audio cambia per sempre il modo in cui le persone ascoltano i loro computer di casa.
Collaborando con l’etichetta discografica Rhythm King, che condivide con loro una filosofia molto simile quando si trattava di riconoscimento degli artisti, una delle sue band di maggior successo
viene arruolata per ricreare un proprio successo recente in classifica che ha, guarda caso, con lo stesso nome del videogioco. Tim Simenon dei Bomb the Bass lavora con Eric Matthews e il musicista informatico David Whittaker per ricreare il classico dell’acid-house su Amiga.
Il risultato è uno dei migliori e più venerati adattamenti di un autentico successo da classifica mai ascoltato su computer domestico, con una resa quasi perfetta di Megablast dei Bomb the Bass durante la schermata del titolo.
Una versione ridotta, ma comunque efficace fornisce il sottofondo durante il gioco. In quel momento, con l’unica lacuna nell’arsenale dei Bitmap Brothers ormai colmata, le recensioni di Xenon 2: Megablast sono clamorosamente adulatorie. Eppure, questa partnership tra l’industria della musica e dei videogiochi ha ripercussioni di portata ben più ampia che i semplici punteggi nelle recensioni. Porta a una partnership che avrebbe reinventato i Bitmap Brothers trasformandoli in un fortissimo leader in grado di realizzare appieno quei cambiamenti del settore a cui i fondatori avevano aspirato fin dall’inizio.

Ma il meglio deve ancora venire e si chiama Speedball 2: Brutal Deluxe.
Il 1990 vede l’arrivo del sequel del secondo gioco dello studio che pur mantenendo le basi del predecessore viene completamente riscritto da un’altra squadra di sviluppo. Il programmatore principale, Robert Trevellyan, è al suo primo lavoro effettivamente pubblicato e il suo esordio è folgorante. Come piattaforma primaria di sviluppo viene scelto l’Atari ST, meno potente dell’Amiga, certo, ma con il progetto di realizzare un buon prodotto per ST per poi migliorarlo ulteriormente nella versione Amiga.
In questo sequel si risolvono tutte le debolezze del primo capitolo, in particolare, il campo da gioco a scorrimento anche orizzontale oltre che verticale viene ampliato di più di tre volte e permette di giocare con molta più libertà e tattica, specialmente a centrocampo. Lo sfondo della versione per Atari ST è molto semplice, solo dei pannelli quadrati; ma ciò permette di concentrarsi su altre caratteristiche aggiuntive. Lo sfondo viene poi migliorato nella successiva conversione Amiga, così come i colori che passano da 16 a 32, il tutto in uno spazio di memoria uguale a quello del primo Speedball, ma con un frame rate notevolmente aumentato. Un miracolo della programmazione che lo porterà Speedball 2: Brutal deluxe a diventare il gioco più venduto e riconosciuto dei Bitmap Brothers.
La grafica originale viene affidata a Dan Malone, ex fumettista che aveva già lavorato anche a molti altri titoli della Bitmap Brothers, Il sonoro è affidato al sanpiterno Richard Joseph.
La copertina della confezione è stata disegnata da Glenn Fabry.

Sebbene i Bitmap abbiano stipulato molti accordi di distribuzione con Mirrorsoft (che ha rilasciato diversi giochi Bitmap con la sua etichetta Image Works), quest’ultima aveva sempre riconosciuto che un team come i Bitmap Brothers non sarebbe mai rimasto a lungo confinato a un solo distributore. Quando il capo della Rhythm King Records, Martin Heath (un appassionato di videogiochi che aveva colto al volo l’occasione di essere coinvolto in Xenon 2), incontra Eric Matthews, impara molto sullo stato del settore e si identifica pienamente con la visione Bitmap di onorare l’autore dell’opera.
Così, nel 1990, Bitmap Brothers e Rhythm King uniscono le forze e fondano Renegade Software per pubblicare proprio i giochi dei Bitmap Brothers e distribuire anche nuovo materiale da altri sviluppatori indipendenti con la promessa di mettere i team di programmatori e sviluppatori in primo piano in qualsiasi promozione. In un’intervista, Heath rivela cosa pensa dell’industria del software nel suo complesso.
«Quando ho incontrato Eric per la prima volta non era troppo contento del suo editore. I programmatori vengono trattati come se fossero degli idioti. Ho incontrato alcuni editori, e la maggior parte delle persone che gestiscono queste aziende sono uomini d’affari che non hanno altro da fare se non usare la loro capacità per fare soldi. Sono solidali con i programmatori, ma le decisioni che prendono sono spesso sbagliate. È stato deciso, come con Rhythm King Records, che gli artisti dovrebbero ricevere la loro giusta ricompensa». Che dire? Martin è un altro visionario che vuole cambiare il mondo dei videogiochi, e per un po’, certamente ci riesce.
Il successivo gioco dei Bitmap Brothers, Gods, è il primo titolo rilasciato sotto l’etichetta Renegade, seguito subito da altri classici come Sensible Soccer (della leggenda di Sensible Software, Jon Hare, poi comproprietario di Tower Studios con Mike Montgomery), Fire & Ice, The Chaos Engine e Z, per citarne solo alcuni. Renegade continua a pubblicare e promuovere gli sviluppatori fino al 1995, quando viene acquistata da Warner Interactive. Warner continuerà ad usare l’etichetta fino al 1997, quando poi la vende a GT Interactive che, purtroppo, la condanna all’oblio. Per i regaz di Bitmap Brothers vendere Renegade è la classica offertona che non si può rifiutare e lo fanno senza discussioni, certo è che da quel momento in poi, hanno di nuovo il problema di trovare un editore per i loro giochi.

Passano tre anni, e nel 1998, Steve Kelly e Eric Matthews si dimettono dai loro ruoli dirigenziali per concentrarsi rispettivamente sul design e la programmazione. Eric va a lavorare ai Sucker Punch Studios ma negli anni cambia diverse parrocchie senza fermarsi mai. Negli ultimi anni si è dedicato esclusivamente alla produzione ei videogiochi e l’anno scorso, il 2024, ha prodotto un gioco di Harry Potter ( così mi dice MobyGames). Steve Kelly, invece, molla il colpo quasi subito e adesso è un pensionato dai videogiochi dal 2001.
Rimane Mike Montgomery che assume il ruolo di amministratore delegato dei Bitmap Brothers fino a quando l’azienda chiude a tutti gli effetti nel 2004. Le crescenti difficoltà nel trovare trovare nuovi affari per le IP originali e la difficoltà di reinvertarsi sul mercato della grafica 3D portano lo studio a un’inevitabile chiusura. Tuttavia, il brand ancora commercia ma lo fa solo sotto la gestione di Mike Montgomery. È lui è il legale possessore di tutte le IP del catalogo Bitmap e negli anni li concede in licenza alle case di sviluppo per i vari remake rivolti a varie piattaforme.
Dopo anni di generazione di proprietà intellettuali originali e di successo, Il brand, ancora sinonimo della massima qualità nei videogiochi, è stato venduto da Mike Montgomery a Rebellion Developments nel 2019.
Rebellion è quindi l’attuale proprietaria del catalogo. Questo è tutto ciò che resta dei fratelli Bitmap. Cercheremo di farcelo bastare.

FONTI
https://readonlymemory.com/the-making-of-speedball-2/
https://www.eurogamer.net/wish-i-was-a-baller-the-making-of-speedball-2
Retrogamer Magazine 262