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Grateful when you’re dead: in memoria di LODE RUNNER

Reading Time: 8 minutes

lode runner

 

L’altro giorno, navigando sull’internet, leggo che il creatore di Lode Runner, Douglas E. Smith, è morto nel 2014. Non lo sapevo, e me ne sono dispiaciuto molto. Ricordo che nei primi anni Ottanta, Lode Runner è stato un videogioco di enorme successo grazie al suo gameplay veloce, le sue meccaniche di gioco coinvolgenti, e in sala giochi ci fu un momento che contai 4 cabinati di quel titolo uno accanto all’altro! 
Lode Runner ebbe i suoi mesi di massima popolarità proprio nelle sale giochi dove generò parecchi sequel, ma molti non sanno che divenne famoso molto prima, in ambito casalingo, dove era disponibile per molte piattaforme dell’epoca e veniva venduto accompagnato ad un eccellente editor di livelli, la qual cosa lo rendeva virtualmente giocabile all’infinito.
Come vi ho detto all’inizio, colpito dalla notizia, ho cercato di capire come fosse morto il creatore di un gioco così rivoluzionario e ne ho cercato le ragioni sul net scovando la sua pagina wikipedia. È lì che ho avuto finalmente l’opportunità di vederlo bene in faccia. In una piccola foto datata 1985 piazzata sulla sinistra della sua scheda. Vi prego. Aprite il vostro browser, cercatelo su wikipedia e guardatelo anche voi. Io vi aspetto qui… ma voi dovete farlo.

lode runner
Douglas E. Smith circa 1985

Secondo voi, si può entrare in empatia con una foto? Io non lo so di preciso, ma a vederlo così direi proprio di sì. Con quel micidiale caschetto dorato alla Nino D’Angelo, Douglas dava l’impressione di essere una persona molto felice. Uno di quelli che in quei primi giorni dell’alba informatica si esaltavano davanti a un Commodore PET e sarebbero stati disposti a fare di tutto pur di saperne di più. Un vero nerd, tipo Jeff Minter, che se non lo trovavi rintanato nel laboratorio informatico dell’università era perché era andato a vedere un concerto dei Grateful Dead.
Adesso che vi dico tutte queste cose mi dispiaceva ancora di più che se ne sia andato a soli 54 anni. La morte lo ha portato via senza spiegare neanche il perché. Le cause del decesso sono tuttora sconosciute, ma in fondo non è così importante saperle, esticazzi, questa cosa regala al suo personaggio un alone di mistero che apprezzo moltissimo e se dovessimo per forza buttarla sul dettaglio a me spiace di più che sia morto calvo, per dire. Adesso lanciamo una canzone per Douglas e non mi frega un cazzo del copyright. Siamo alla 98esima puntata. Miserere me.

 

La storia di Lode Runner inizia in una facoltà di architettura dell’università di Washington nel bel mezzo della stagione in cui l’Italia diventa campione del mondo. Nell’estate del 1982, un fresco ventiduenne Douglas E. Smith studia architettura ma non disdegna di approfondire le sue conoscenze nell’analisi dei dati.
Siamo in estate, dicevo, quella stagione che ha la spiacevole controindicazione di essere lunga, calda, e noiosa nel caso uno viva rintanato in un buco di culo come l’università di Washington. Doug rientra in pieno in quella categoria di persone ma in più è anche spiantato, per questo motivo, insoddisfatto del suo stato di nullafacente, trova un lavoro part-time nella sala computer della scuola. Oddio. Dire che è un lavoro è come dire che Fedez è un cantante; non deve fare altro che aiutare gli studenti ad espletare alcune piccole attività informatiche come il login, la stampa e così via. Ma nell’estate di quell’anno quasi nessuno studente è sfigato quanto Doug e se ne sono andati tutti al mare, di conseguenza l’aula è deserta.
Doug, sentendosi tremendamente insoddisfatto e nonostante venisse pagato ugualmente per non fare praticamente un cazzo, ritrovandosi solo come un cane in un ambiente zeppo di computer, decide che è il momento giusto per iniziare ad imparare cose e scrivere videogiochi. Insieme a lui, a condividere la solitudine e la sfiga in quell’aula deserta, c’e James Bratsanos.
Un giorno, un amico di James torna dalla sala giochi eccitato come non mai e si lancia in uno sproloquio riguardo a omini che cercano di collezionare cose mentre i mostri li inseguono. Per James, la cosa è fonte di ispirazione e si ricorda di un suo precedente lavoro messo a punto nel 1980 su un Commodore PET, si chiamava “Suicide”, era lento come i rimborsi, primitivo come la mia conoscenza del galateo, e aveva il simbolo ‘@’ a rappresentare il player. Del resto, nel 1980, James non ebbe la possibilità di imparare molto di più sulle potenzialità del PET, gli insegnanti di informatica che si potessero definire tali erano pochissimi, quindi Suicide era rimasto lettera morta.
In ogni caso, adesso sono in due a lavorare sul nuovo gioco e il suo compare Doug Smith sembra quello più motivato e smart della coppia.

Accidenti, Doug. Tu si che sei smart!
 

Si mettono a programmare insieme il gioco e lo chiamano “Kong”, in onore e ispirazione al popolare videogioco arcade Donkey Kong di Nintendo. James e Doug scelgono il Fortran per scriverlo. Anche se quasi nessuno dei due conosce a pieno le potenzialità di quel linguaggio, perlomeno lo si può considerare di alto livello ed è quindi di facile comprensione. Programmano su un computer Prime 550 per il semplice fatto che l’aula è piena di quel tipo di macchine.
Alla fine dell’estate, la versione iniziale di Kong è completa. Adesso gira su computer VAX ( anche di quelli ce ne sono in abbondanza) e lo si può già considerare un prototipo di Lode Runner, ma a causa della scarsa esperienza dei suoi programmatori e i limiti della macchina, le immagini del gioco utilizzano caratteri ASCII per essere rappresentate, il pavimento del gioco è un carattere quadrato, il personaggio che il giocatore comanda è il simbolo del dollaro ($), e il nemico è il simbolo del paragrafo (¶) perché, dicono, assomiglia a un cobra (???) e così la gente pensa che sia un serpente.
In pratica, l’intero gioco è basato sull’interfaccia dei caratteri. I personaggi si muovono e saltano, ma una volta che corrono non possono più fermarsi. Solo dopo la pressione della barra spaziatrice si fermano. Nonostante tutto, Kong desta molte attenzioni nel campus universitario. Molti studenti si avventurano nella stanza dei computer non tanto per imparare, ma per poter giocare al famigerato Kong di Doug Smith e James Bratsanos. Per un po’, la sala computer si anima di vita propria.

Teoricamente, agli studenti è fatto divieto di utilizzare i computer del campus per sviluppare videogiochi, per questo Doug prende delle contromisure: il file di Kong non si chiama veramente “KONG” ma, anzi, ha un nome apparentemente innocuo come “GRAPH”, e anche se lo esegui, poi devi immettere una misteriosa password per procedere, password che, ovviamente, viene divulgata all’interno del cerchio d’oro dei gamer dell’alba e ben presto diviene un tacito segreto di Pulcinella tra gli studenti nerd. Basta poco tempo prima che KONG diventi il fenomeno underground del campus e un gran numero di studenti ingolfi la sala computer. Circa l’80% di loro è lì per utilizzare questo famoso software “grafico”. Proprio in questa fase, Doug raccoglie molti preziosi suggerimenti per migliorarlo sia tecnicamente che in giocabilità.
Una sera, Doug porta il suo nipotino di 8 anni nella sala computer. Il bambino gioca a Kong e gli piace talmente tanto che pone la fatidica domanda: « Zio, puoi copiarlo su un dischetto e lasciarmelo portare a casa per giocare sull’Apple II?» Doug non lo prende sul serio e anche se lo facesse non sarebbe possibile realizzarlo. Il VAX non ha il lettore floppy e comunque il gioco è scritto nella lingua sbagliata, ma il ragazzino continua a chiedere, vuole assolutamente una versione per il suo Apple. Così, durante un fine settimana, Douglas porta Kong sull’Apple II nonostante non possegga un Apple II, e neanche abbia una particolare passione per quel tipo di macchina. Ha, però, un talento naturale per capire i computer e risolvere i loro problemi che, unito all’aiuto di un suo compagno di stanza, Mark Ledbury, che possiede proprio un Apple II, rende possibile la creazione dell’ultimo prototipo di Lode Runner: MINER.

 

A questo punto della storia, quanto accade differisce in 3 versioni: Doug ricorda che James perde interesse nel progetto per poi abbandonarlo, lasciando lui da solo al timone, ma James sostiene di essersi fatto da parte per non trascurare troppo gli studi perfezionando MINER sull’Apple II. I giornali dell’epoca, invece, riportano che Doug abbia pagato a James 1.500 paperdollari per liquidarlo. Com’è andata nessuno lo sa di preciso, ma sta di fatto che Doug finisce MINER e lo presenta a Brøderbund Software la quale lo rifiuta con una scarna lettera di risposta che riporta una sola, unica frase: «Grazie per aver inviato il tuo gioco, ma non si adatta alla nostra linea di prodotti».
A Doug però rode troppo il culo e non ha alcuna intenzione di mollare. Chiede un prestito di 1000 paperdollari e compra un monitor a colori, un joystick, e un set di strumenti di sviluppo. È deciso a migliorare il gioco per renderlo vendibile, e alla vigilia del Natale 1982, lo sviluppo della nuova versione è cosa fatta.
La grafica e i movimenti sono stati notevolmente migliorati, i controlli affinati consentendo l’uso del joystick,  ma anche i dettagli vengono curati permettendo agli sprites del giocatore e dei nemici una resa del movimento molto realistica ( se pur stilizzata).
Doug è il regista assoluto del suo gioco che adesso si basa molto sulla strategia. Il prodotto è buono e viene inviato ai quattro principali editori dell’epoca: Sierra On-Line, Brøderbund , Sirius e Synergistic. I quattro editori esprimo opinioni diverse ma tutti fanno un’offerta. Brøderbund ha già rifiutato una volta ma Doug decide di accettare proprio la loro offerta. Ha fatto due conti e anche se gli corrispondono delle royalties più basse degli altri, ha la possibilità di ottenere il 23% di tutte le entrate future se il gioco vende più di 10.000 copie. Firma il contratto entro la fine dell’anno e alla roulette esce il suo numero.

Dopo la firma e un anticipo di 10.000 paperdollari, arrivano, ovviamente, le richieste: rifinire l’animazione, inserire effetti sonori, una nuova schermata iniziale e un nuovo nome: Lode Runner. Inoltre, per dare ulteriore fiducia al suo editore, Doug promette di fornirgli il gioco con ben 150 livelli diversi. È il classico passo più lungo della gamba e mancandogli il tempo per crearli, delega il compito ad amici e vicini di casa. Per semplificare la vita ai suoi aiutanti crea anche un pratico programma di editing. Così, centinaia di nuovi livelli vengono forniti a Brøderbund su un disco  insieme a un pratico programma per gestirli e ordinarli. Un servizio ineccepibile e senza precedenti, come senza precedenti è il fatto che Brøderbund lasci intenzionalmente l’editor di livelli allegato al gioco stesso, con il risultato di ottenere indietro innumerevoli livelli personalizzati creati e inviati dai giocatori più appassionati. Ne ricevono talmente tanti che si pensa di usare i più difficili per includerli nel sequel: Championship Lode Runner.

Dopo aver rifinito il prodotto, Doug si prepara a seguire la produzione e la distribuzione. Oltre a lasciare la scuola per un po’, dà una parte del suo compenso a James Bratsanos che tanto lo ha ispirato e aiutato quando svilupparono Kong insieme. Bratsanos non si aspetta di ricevere alcuna ricompensa e la accetta con piacere.
Nel primo mese del suo rilascio sul mercato, Lode Runner frantuma il record di vendite per un prodotto marchiato Brøderbund, superando il precedente detentore: Choplifter di Dan Gorlin, e fino al 1987 resta il campione di vendite di Brøderbund su piattaforma Commodore. Si dice che Doug Smith alla fine abbia guadagnato più di due milioni di dollari in royalties ( al tempo era una gran cifra), tolte le tasse probabilmente gli è rimasta la metà, poi ha comprato un’auto di lusso e una casa, si è sposato e ha messo su famiglia. Si stima che nel mondo Lode Runner abbia venduto non meno di 3 milioni di copie.
Adesso Doug non c’è più, di lui rimane un gioco diventato un classico che non può essere ignorato nella storia dei videogiochi, un editor di livelli che aprì la porta a un trend consolidato, e una fotografia in cui sembra la persona più felice del mondo. È già un grosso risultato. Io ci farei la firma.

LA CONVERSIONE ARCADE

 

Così come lo ottiene nei salotti, in sala giochi Lode Runner ha un successo travolgente e inaugura un trend del tutto inedito: è il primo videogioco a passare dalla versione casalinga a quella su macchina a gettoni (in quel momento storico i giochi fanno generalmente il viaggio opposto; nascono in sala giochi per finire su console e PC). La dimensione della griglia complessiva è più piccola rispetto a quella dell’originale di Smith (24×15)  e i livelli che oppone al giocatore sono solo 25, frutto della compattazione di vari livelli già visti nella versione casalinga. In compenso il gameplay è più frenetico rispetto all’originale ed è previsto un tempo massimo entro cui terminarli, pena: la perdita di una vita. Queste scelte vengono fatte da IREM, la licenziataria della conversione, in modo da rendere il gioco più adatto alle esigenze delle sale giochi e stimolare l’avvicendamento dei giocatori facendo incrementare il guadagno del gestore.
Contando anche l’originale, IREM pubblica nelle sale giochi quattro versioni di Lode Runner, e tutte e quattro hanno due bonus speciali che vengono assegnati a livello completato: Fine livello senza uccidere nemici = 10.000 punti. Intrappolamento di tutti i nemici in una stanza o fossa chiusa = 10.000 punti.

Volete provare la versione originale? Cliccate QUI.

lode runner
Hanno fatto anche il gioco da tavolo!

Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

4 thoughts on “Grateful when you’re dead: in memoria di LODE RUNNER”

  1. Fino a qualche anno fa il mio retrogaming si limitava soprattutto a quel gruppetto di titoli come Baldur’s Gate, Diablo, Divine Divinity e compagnia, oppure a Heroes Of Might & Magic. Poi sono tornato, dopo averli consumati all’epoca, a Doom e Wolfenstein 3D. Infine ho ritrovato i miei primi amori, il NES e gli arcade. Ho addirittura riscoperto Zork! Ma una cosa è certa, questo viaggio nel passato del videogiocare mi ha fatto rendere conto di quanto negli ultimi 20 anni io mi sia totalmente e vergognosamente rammollito. Mi ricordo come, durante le ultime vacanze di Natale, una mattina di pace e relax all’insegna del revival nes e dei buoni sentimenti si sia trasformata in un turbine di improperi irripetibili e controller che volavano in seguito a una partita a Gradius finita non troppo bene. Subito dopo è stata la volta di Contra (qua un bagno di sangue proprio…). Poi dopo di Lode Runner. Poi ho detto, ‘nculo, passo agli arcade del periodo oratorio. Peggio che andar di notte, Toki e Rastan mi hanno spezzato senza pietà, devo ancora riprendermi del tutto. Solo adesso, dopo mesi e mesi, sto faticosamente tornando a far delle partite con un minimo (ma solo un minimo) di dignità. Il bello è che prima di ributtarmi su certi titoli ho anche pensato, all’epoca ero un bambino, di sicuro ora finirò un sacco di giochi che all’epoca trovavo insormontabili. Mai previsione fu più sbagliata…

    1. Grande Ste84, ci vuole costanza e applicazione quando ci si confronta con i videogiochi dell’alba ( o anche della mattinata). Hanno un’impostazione completamente diversa da quelli attuali. È più una questione di riflessi(LOL) e di strategia applicata in tempi infinitesimali. Io retrogioco abbastanza, non più frequentemente come prima, ma retrogioco, e mi rendo conto che se smetto di farlo troppo a lungo dopo ne pago le conseguenze. Certi titoli esigono un tributo di attenzione ed esercizio costante, altrimenti si ricomincia da capo. 🙂

  2. Ottima recensione. Hai sbagliato una sola cosa: l’università di Washington non è un “buco di culo” ma un università molto prestigiosa.

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