MARBLE MADNESS: Se un videogioco avesse le palle sarebbe questo

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Marble Madness


20 febbraio 2013
La radiosveglia si accende alle cinque e mezza.
Mark Cerny si drizza a sedere sul letto come fosse un pupazzo a molla. Piedi in terra. Due metri avanti, tre metri a sinistra, preme l’interruttore e accende il neon sullo specchio del bagno. Si guarda, si riconosce, e tira un sospiro di sollievo.
Abluzioni varie, barba, profumo, e un’acconciatura studiata con metodo: seriosa abbastanza da confacersi all’evento, ma quel filino anarchica per onorare il suo spirito ribelle.
Colazione americana velocissima prima di fasciarsi in un completo di Armani.
Bacio alla moglie che è rimasta coricata. Bacio al cane che gli saltella intorno scodinzolando. Bacio al pupazzetto di Kermit la rana che gli ha sempre portato fortuna. Non bacia i figli che quelli è bene che non si sveglino, e alle 6 è già fuori di casa per infilarsi nella Limousine che lo attende silenziosa.
New York è buia, fredda, ed è ancora notte. Tante luci spente, silenzio. La Hammerstein Ballroom, un teatro tra la 34esima strada e l’ottava avenue, ha l’aspetto di una cattedrale. La cattedrale dei videogiochi dove lui, oggi, esattamente dalle 18 in poi, darà il solenne annuncio al mondo intero: Sony lancerà la Playstation 4 e non ce ne sarà più per nessuno.
Sarà un annuncio epocale, un evento storico per il quale si è preparato meticolosamente. La console più potente, la SUA console, val bene una levataccia pur di riuscire ad orgBAM!are alla perfBAM!one lo spTHUD!colo più belBAM!

Mark Cerny apre gli occhi. Si guarda attorno. Stanno bussando violentemente alla porta. Sono le 9.34 e la sveglia non ha suonato. Rischia concretamente di perdere l’aereo per New York. Afferra la prima camicia che trova nell’armadio, si impiastriccia i capelli di gel, e si precipita fuori dalla sua stanza d’albergo.

Dicevamo, il 20 febbraio 2013, Mark Cerny sale sul palco durante l’evento stampa “Playstation Meeting” organizzato da Sony, e annuncia al mondo che Playstation 4 sta arrivando. BUM!
Fermi tutti!
Flashback di 31 anni. Il 18 gennaio 1982, eccolo lì. Mark Cerny ha 17 anni, è un ragazzo prodigio, e varca per la prima volta la soglia di Atari. È l’impiegato numero 16.000 (No. Dico. Avete capito bene: SEDICIMILA! ).
Quello che poi sarebbe diventato il principale architetto della console più famosa dei giorni nostri è un super-turbonerd, una specie di Sheldon Cooper presumibilmente meno spocchioso, ed è talmente intelligente che a 13 anni frequentava già il college. Ora che ne ha 17, appunto, è già laureato e pronto a cogliere le sue opportunità nel mondo del lavoro. Opportunità che Atari gli sta offrendo.

Dopo un annetto buono di schiavitù e dopo infiniti caffè portati alle scrivanie dei nonni, viene finalmente messo al lavoro come programmatore/designer, e il primo gioco su cui Cerny lavora è Major Havoc, nel 1983, assistendo Owen Rubin alla programmazione.
Major Havoc è uno degli ultimi videogiochi vettoriali di Atari, e viene sviluppato essenzialmente per poter riconvertire tutti quei cabinati di Tempest disseminati in giro per la nazione tramite un apposito kit.
Mark Cerny raggiunge il team a lavoro mezzo ultimato ma riesce comunque a dimostrare le sue indiscutibili doti, tanto che, vista la brillantezza del soggetto, gli viene affidato il compito di sviluppare un gioco tutto suo che, puntualmente, arriva.
Si chiama “Qwak!” ed anche se richiama alla mente la tipica esclamazione di Paolino Paperino quando riceve la pedatona meccanica nel culo nell’ufficio dello zio, per il suo tempo è rivoluzionario. Basandosi sul concetto del touchscreen, il giocatore guida delle anatre sullo schermo. Ovviamente in tempi in cui l’idea dell’iPad manco si vede in Star Trek perché la Next Generation ha ancora da venire, Atari non sa come e non si può permettere di far funzionare una simile tecnologia. Il gioco viene cassato in fase di prototipo.

 

Atari riconosce comunque le grandi doti di Cerny e gli affida l’incarico di sviluppare un altro gioco tutto suo. Mark, che aveva l’idea in testa da ben prima di Major Havoc, partorisce Marble Madness, e siamo nel 1984.
Marble Madness è un gioco davvero incredibile, sviluppato in un buon momento dal punto di vista tecnologico ma pessimo per quanto riguarda quello commerciale. È il primo a utilizzare le nuove board Atari System 1 che integrano i chip sonori Yamaha dalle strabilianti prestazioni, e da lì a poco in sala giochi si troverà in buona compagnia seguito da titoloni come Indiana Jones And The Temple Of Doom, Roadblasters, e molti altri. Commercialmente, però, sebbene goda di un fulmineo successo di pubblico e critica, Marble Madness viene presto scalzato dalla vetta un po’ per la relativa disaffezione dei giocatori verso i videogiochi a causa del Crash avvenuto l’anno prima. Un po’ per la limitata complessità del gioco in sé. Un po’ per la scarsa longevità dato che, se eseguito alla perfezione, può essere terminato di circa 3 minuti e mezzo.

Figlio della passione di Mark Cerny per il miniGolf, le prospettive impossibili di Escher e quelle isometriche di giochi come Battlezone e I, Robot, Marble Madness è geniale sotto tanti punti di vista e uno di questi sono i suoi controlli trakball che immergono completamente il giocatore nell’ambiente di gioco. Addirittura, nel progetto iniziale di Cerny era contemplato l’uso di speciali trakball con servomotori in modo che trasmettesser al giocatore una sensazione di controllo più immersiva. Attraverso questi speciali dispositivi le trakball sarebbero diventate un vero e proprio avatar delle biglie del gioco, incrementando la propria scorrevolezza in caso di percorsi in discesa, e trasmettendo vibrazioni in caso di urti contro pareti o nemici. Una specie di rudimentale sistema Dualshock come quello dei controller Sony, però applicato a delle Trakball arcade.
Purtroppo, a causa delle non proprio rosea situazione finanziaria in cui versa Atari in quel momento storico, e la prospettiva di un mercato in contrazione dovuta al crash dei videogiochi, l’azienda decide di non scommetterci granché sopra e impone a Cerny l’uso di trakball tradizionali, stoppando anche lo sviluppo di ulteriori livelli per elevare la longevità del gioco.

 

Dal canto suo Cerny, con una mossa da vero volpone e inedita nella storia degli arcade, implementa l’uso di ambedue le trackball anche per il solo player one, in questo modo il cabinato consente a un solo giocatore di usare entrambi i controlli per giocare a una partita singola.
Poco prima del rilascio, Atari se ne viene fuori con una delle sue, dicendo a Cerny di personalizzare la biglia di gioco con una faccina sorridente in modo da permettere al giocatore di empatizzare di più con essa. Lui, ovviamente, si oppone e riesce a strappare un compromesso permettendo all’azienda di raffigurarla la biglia in quel modo solo sulle artworks del cabinato, e che non si capisca neanche tanto bene (grazie).

Alla fine, quando Marble Madness viene rilasciato nelle sale giochi al termine del 1984, vende circa 4.000 unità. Un numero basso rispetto agli standard di qualche anno prima, ma abbastanza alto da essere il best-seller dell’anno. Rimane primo per sei settimane consecutive nella classifica degli arcade preferiti dagli americani ma allo scoccare della settima settimana cola a picco, nel dimenticatoio della classifica. La ragione è semplice: è troppo breve e una volta che i giocatori imparano a risolverlo non c’è più un reale motivo di attrattiva.
Marble Madness rimane comunque uno dei migliori videogiochi del suo genere, viene portato su parecchie piattaforme home del tempo, e genera diversi figli illegittimi come Spindizzy, Gyroscope, Airball, ecc.
Nel 1991 avrà anche un sequel ufficiale in fase di sviluppo ma che non raggiungerà mai il test su cabinato. Molti credono che l’improvvisa esplosione di Street Fighter e dei suoi cloni sia ciò che lo ha ucciso. Può essere vero? Non si sa. Fatto sta che le sale giochi rimasero orfane di Marble Madness II – Marbleman.

 

All’indomani della pubblicazione di Marble Madness, la cosa che irrita di più Mark Cerny è quella di non aveva alcun credito pubblico sulla sua creazione. La politica di Atari proibisce di divulgare i nomi degli autori dei videogiochi e quando Electronic Arts converte il suo gioco su computer Amiga e sbatte i nomi dei due programmatori che lo hanno fatto sulla copertina della confezione, a lui rode troppo il culo.
Le strade di Atari e Mark Cerny si dividono di lì a poco e portano quest’ultimo a intraprendere un cammino che lo porta inizialmente a Sega, ma che proseguirà verso la creazione di Crash Bandicoot e la saga di Spyro, per poi finalmente approdare a una partnership con SONY in pianta stabile. Niente male per uno che si infila la prima camicia che trova nell’armadio, no?

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Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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