pac-man
Un giorno Tod Frye entra nell’ufficio del suo capo e ci trova il suo collega Bob Polero già comodamente seduto. Il capo è emozionatissimo, ha due importanti lavori da assegnare. Inizia a parlare con i due programmatori, spiegando che Atari si è aggiudicata le licenze di due popolari videogiochi a gettone. «Solo due?», dice ironicamente Frye.
È l’aprile del 1981 e tutti in Atari si stanno dando un gran da fare. Due anni prima, diversi programmatori chiave avevano lasciato l’azienda e ne avevano fondata una tutta loro, Activision, diventando il loro principale concorrente nella produzione di videogiochi. L’idea stessa che Atari debba rivaleggiare con qualcuno per la produzione dei giochi per la sua console 2600 è ancora un concetto difficile da comprendere, ma Activision ha già messo a segno numerosi successi come Pitfall! di David Crane, ex collega di Frye, e la cosa è abbastanza imbarazzante.
Un conto, però, sono i giochi originali; un altro sono le licenze dei famosi cabinati a gettone che Atari si rifiuta di cedere alla concorrenza. Un sacco di soldi vengono sganciati con sempre più frequenza per quelle licenze che poi si trasformano in cartucce per il 2600. La prima grande uscita su quella console fu Space Invaders, e da quel momento in avanti il vizio delle conversioni dei coin-op non è stato mai perso. A breve si aggiungono tutte le licenze di quei giochi pubblicati nel periodo che gli storici videoludici definiranno come “l’età dell’oro dei videogames”.
A un certo punto, gli occhi del capo rimbalzano fra i volti dei due programmatori. Preso dalla fotta annuncia che le due conversioni in ballo sono Defender e Pac-Man.
Frye si gira verso Polero: « Non mi interessa » dice scrollando le spalle. Ha già giocato sia a Pac-Man che a Defender e preferisce di gran lunga quest’ultimo, ma sono entrambi un lavoraccio. Defender ha il giocatore che difende umanoidi da ondate di navi nemiche su un pianeta alieno. Un gioco che nella versione da sala giochi, con i suoi 5 pulsanti e il joystick, definire “difficile da pilotare” è estremamente riduttivo. Nonostante questo, l’alto livello di sfida che comporta attrae i giocatori anziché spaventarli.
Invece Pac-Man, per Frye, non è altro che una pizza gialla con una fetta mancante che corre in un labirinto, sgranocchiando puntini ed evitando quattro fantasmi colorati, niente di più. In ogni caso il porting di entrambi i giochi è un gran mal di testa. La grafica di Defender e tutti i suoi controlli dovranno essere gravemente castrati sul 2600; La grafica di Pac-Man, invece, è più semplice, sì, ma più appariscente, e l’intelligenza artificiale dei fantasmi dovrà essere particolarmente curata per far identificare il porting con l’originale.
Frye ripensa a quello che ha appena detto. Non è una scelta facile ma in fondo, se proprio dovesse scegliere uno dei due giochi preferirebbe…
«Prendo Defender!», dice Polero.
Frye sfoggia un sorriso di circostanza. « Bene. Nessun problema. Io farò Pac-Man. »
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ANTEFATTO IN GIAPPONE
Il primo tentativo di conquistare il mercato giapponese non era stato per niente fortunato per Atari. La filiale aperta dalla gestione Bushnell, ATARI JAPAN, impiegò pochissimo tempo per colare a picco, e se non ci fosse stata una società come NAMCO ad accorrere in soccorso, le cose si sarebbero messe ancora peggio.
In sostanza, NAMCO riuscì a battere l’offerta di SEGA con un rush finale e si comprò ATARI JAPAN con il preciso intento di ammortizzarne il fallimento. In cambio ottenne da Atari l’esclusiva di distribuire i suoi cabinati in Giappone e, cosa molto più importante, la possibilità di distribuire i propri videogiochi sul territorio statunitense sotto le insegne di Atari.
Da quel momento in avanti i rapporti tra le due società si fecero sempre più stretti tanto che, come gli storici di Atari ricorderanno, a un certo punto nel tempo, Namco riuscì ad ottenere il controllo pieno su quello che rimaneva dell’azienda denominata ATARI GAMES, ma questa è un’altra storia che vi ho già raccontato da un’altra parte.
Cosa mi preme sottolineare in questo momento è il rapporto sempre più confidenziale tra le due società che si sviluppò negli anni, e il fatto che il direttore del reparto coin-op di Atari ( al tempo dei fatti che ci interessano: Joe Robbins ), avesse l’esigenza di recarsi personalmente in Giappone per pianificare lo scambio di titoli che le rispettive aziende intendevano distribuire sui propri territori nazionali.
Ray Kassar, successore di Bushnell, non aveva mai digerito l’accordo stipulato con NAMCO, lo riteneva un’iniqua eredità della precedente gestione che egli tanto detestava, e anzi, secondo lui era NAMCO a dover dare dei soldi indietro ad Atari. In occasione del viaggio di Robbins in Giappone, Kassar gli fece chiaramente presente di parlare con Namco di qualsiasi cosa, ma di non azzardarsi a firmare nulla.
Passa giusto una settimana dalla sua partenza che Joe compare in una foto sui giornali finanziari. Dopo una partita a golf con Masaya Nakamura aveva rinnovando l’accordo con i giapponesi, firmandolo per una cifra di circa un milione di dollari. Oltre alla distribuzione dei giochi a gettone, il nuovo accordo comprendeva anche il diritto di conversione per la console 2600 di qualsiasi titolo NAMCO avesse prodotto. Unico inconveniente: in quel momento NAMCO non aveva nessun grande gioco da proporre, ma era un investimento per il futuro!
Era come nella favola “Jack e il fagiolo magico”, e Joe Robbins era tornato a casa con dei fagioli senza valore. Bene, dopo poco tempo uno di quei fagioli divenne un giochino chiamato Pac-Man. Col senno di poi, è stato il miglior accordo del decennio, ma al suo ritorno fu difficile farlo digerire a Kassar, e gli costò quasi il posto quando gli affiancò Frank Ballouz perché non si fidava più di lui.
TOD FRYE – un uomo pragmatico
1981. Mentre il fenomeno Pac-Man esplode e impazza attraverso tutti gli Stati Uniti, dando origine a una vera e propria Pac-Mania con tanto di magliette a tema, bicchieri, cereali, fumetti, un cartone animato, una hit alla radio, e il delirio nelle sale giochi, il marketing di Atari fa di tutto per pubblicizzare l’imminente adattamento di Pac-Man per VCS/2600, pubblicando annunci su riviste, alla televisione, cartelloni pubblicitari, e perfino istituendo un National Pac-Man Day per celebrare l’avvenimento.
Allo stesso tempo, Tod Frye lavora come programmatore in Atari e si trova molto a suo agio mescolando il codice con il piacere chimico. Per darvi un’idea di che tipo fosse vi bast sapere che il primo giorno di lavoro del suo collega Howard Warshaw, Tod si presenta nel suo ufficio con una canna accesa, invitando Howard a fumare con lui, ma solo “roba buona” (sostiene).
Tod si guadagna anche il soprannome di “Arfman” perché abbaia come un cane mentre vaga per i corridoi, ed essendo un uomo abbastanza alto, quando i corridoi sono particolarmente stratti si diverte a scalarne le pareti, lasciando impronte sui muri del quartier generale di Sunnyvale. Il suo vizietto di camminare sui muri si interrompe bruscamente solo quando colpisce con la fronte uno sprinkler (un irrigatore antincendio a soffitto), guadagnandosi 23 punti di sutura.
Può un uomo simile riuscire nell’impresa di convertire Pac-Man sulla console 2600? Pare proprio di sì. Frye prende l’impegno molto seriamente e lavora incessantemente 80 ore alla settimana per sei mesi filati, certo però, lo fa alla sua maniera.
SVILUPPO di Pac-Man
Tod Frye prende il suo lavoro di conversione con filosofia. Per lui è soltanto un altro giorno di lavoro e un altro gioco da programmare, anzi, si avvicina al progetto con particolare pragmatismo. Sa che la scheda arcade di Pac-Man sfoggia un processore Zilog Z80 con clock a 3.072 megahertz, due kilobyte di memoria video, e altri due kilobyte per la memoria di sistema standard. In totale il programma arcade occupa 16 kilobyte di memoria. Sullo schermo visualizza diversi prites contemporaneamente: l’eroe Pac-Man, quattro fantasmi, alcuni pezzi di frutta che danno ai giocatori punti bonus e 4 pillole di potenza in un massimo di sedici colori simultaneamente.
La console Atari 2600, invece, viaggia a 1,19 megahertz, si accontenta di 128 byte di memoria di sistema ( circa un trentesimo della quantità disponibile sulla scheda del gioco arcade ) e i programmatori devono spremere i loro giochi per farli entrare in una cartuccia il cui chip ROM dispone di soli quattro kilobyte.
Inoltre, c’è anche un’altra difficoltà da superare. Il labirinto di Pac-Man si estende verticalmente grazie al monitor a 19 pollici che Iwatani ha preteso fosse piazzato in verticale. I televisori del tempo sono tutti con schermo orizzontale, quindi, no, non c’è modo che Frye possa ricreare i labirinti di Pac-Man in modo fedele. Mentalmente Tod ci mette già una pietra sopra e sa dall’inizio che non potrà mai ricreare fedelmente il gioco.
Per questo sceglie di carpirne la pura essenza, non provando neanche a rendere il suo porting uguale al coin-op.
Tod sa che ogni videogioco consiste di due componenti: aspetto e funzionalità. Per quanto riguarda l’aspetto: un labirinto, dei puntini, dei fantasmi, un cerchio giallo scheggiato, sono tutta roba che, bene o male, si può riprodurre su un Atari 2600. Per quanto riguarda la funzionalità, ecco, quella si che è il vero problema. Riprodurla sarebbe stato qualcosa di più simile a un atto di fede.
Nella versione arcade, le pareti del labirinto di Pac-Man sono costruite da linee blu su uno sfondo nero e anche questo è un altro problema. Atari ha una politica a livello aziendale che permette ai programmatori l’uso di sfondi neri solo per i giochi spaziali. Il motivo è che i televisori CRT del tempo, sia a colori che in bianco e nero, hanno all’interno del tubo catodico dei fosfori che reagiscono a un fascio di elettroni riproducendo l’immagine, se il fosforo rimane illuminato troppo a lungo rischia di bruciare lo schermo, lasciando una sagoma dell’immagine su di esso in maniera permanente, per questo motivo si preferiva lasciare gli sfondi in nero in modo da non stressare i fosfori.
Per rimediare a questa limitazione, molti giochi per Atari 2600 dispongono di quella che viene chiamato un “actract mode”, di fatto una protezione salva-schermo che inverte i colori del gioco a intervalli regolari quando il giocatore non gioca per troppo tempo. E Frye fa proprio questo. Trovandosi nell’impossibilità di utilizzare uno sfondo nero per il suo gioco, e non avendo per niente voglia di sbattersi con quelli dell’amministrazine per ottenere il permesso di usarlo, utilizza il colore blu e implementa l’actract mode.
Quindi, Frye cambia la combinazione dei colori di Pac-Man con linee arancioni su uno sfondo blu. E perché? Perché per lui aveva senso! Finché c’era un labirinto pieno di punti e fantasmi, perché sbattersi tanto? Pensò.
Altri problemi ne abbiamo? Certo. I puntini! Atari 2600, con il suo processore TIA non dispone di abbastanza memoria per riprodurli tutti. Tutte le risorse vengono spremute per riprodurre il campo da gioco ( tra l’altro usando un escamotage di riprodurne solo una metà e “specchiarla” sul lato opposto ), per i punti circolari non c’è abbastanza memoria. Tuttavia, c’è una scappatoia. Il TIA dispone di dati grafici sufficienti per disegnare piccoli trattini anziché punti. Quei trattini vengono gestiti dal TIA come parte del campo di gioco, ma Frye può farli scomparire quando Pac-Man li percorre. Et Voilà. Risolto il problema e bye-bye ai puntini.
Gli angoli lisci e arrotondati del labirinto sono stati un gioco da ragazzi per i ragazzi di Namco che, in fondo, stavano sviluppando una scheda che costava centinaia di dollari. Quando dovevano aggiungere nuovi componenti tecnologici non facevano altro che piazzarli, oppure, se mancava lo spazio, potevano creare una nuova scheda da zero.
La console 2600, invece, è scolpita nella pietra dal 1977. L’unica opzione per migliorare i suoi giochi è quella di aggiungere chip all’interno delle cartucce, ma così facendo il costo per produrle lievita. Ogni cartuccia standard può immagazzinare dati per un totale di 4Kb, sarebbero stati necessari almeno 8Kb per una resa decente, ma anche lì Frye non volle forzare lo status quo e si accontentò. Fece quello che doveva fare con quello che c’era, con buona pace per gli angoli lisci e arrotondati.
Si concentra, invece, sull’intelligenza artificiale dei fantasmi, ed elabora un algoritmo funzionale di cui è molto orgoglioso.
In ultimo, prevede la modalità di gioco a due giocatori. La ritiene più importante di qualsiasi altro miglioramento estetico si possa implementare. Del resto, in tempi di Pac-Mania, i bambini non devono mai trovarsi nelle condizioni di arrabbiarsi per ottenere il joystick della partita successiva.
CONCLUSIONI per Pac-Man
Insomma, alla fine Tod Frye porta il fieno in cascina e riesce a consegnare il gioco entro la fine dell’anno. Atari riesce ad iniziare la distribuzione delle cartucce ai rivenditori non prima del 16 Marzo 1982. Le performance di vendita iniziali sono stratosferiche. Tutta la nazione sta aspettando Pac-Man su Atari 2600 e quel gioco, nonostante abbia tutte quelle differenze e perfino il protagonista con gli occhi, #santoddio è Pac-Man! Un esercito di ragazzini avranno la possibilità di giocarlo a casa, senza fare fila in sala giochi, in qualsiasi momento ne avranno voglia, quindi va bene per forza. Vende più di 7 milioni di copie e porta un guadagno nelle casse di Atari di circa 200 milioni di paperdollari, ma non passa molto tempo prima che arrivino le critiche. Solo due mesi dopo la sua uscita, a Maggio, le prime riviste del settore cominciano a pubblicare recensioni caustiche.
Tod non da minimamente peso alla cosa, nuovamente impegnato com’è nella saga di SwordQuest, ma in molti, in Atari, cominciano a chiedersi come sia stato possibile pubblicare una conversione così distante dell’estetica dell’originale. La realtà dei fatti è che nessuna regola era stata scritta su come un programmatore avesse dovuto interpretare l’opera di qualcun’altro. Nessuno lo sapeva a quel tempo. Non c’erano dogmi, non c’era una guida su come convertire un coin-op da poter consegnare ai programmatori, ed ognuno di loro poteva dare la sua interpretazione. Erano tempi pioneristici dove ci si poneva per la prima volta delle domande le quali risposte avrebbero servito da esempio per tutto quello che sarebbe venuto dopo. Quindi: c’era una diretta connessione tra Pac-Man per Atari 2600 e l’originale da sala giochi? Sì. Era Pac-man per Atari 2600 uguale all’originale da sala giochi? No. La versione per Atari 2600 è l’interpretazione del programmatore che l’ha codificata e in quanto tale va rispettata, e considerata, se vogliamo, alla stregua di un’opera d’arte.
CONCLUSIONI per Tod Frye
Durante il periodo in cui Tod sviluppava Pac-Man, Atari avvia un programma di condivisione degli utili ( lo chiamano “bonus incentivo di compensazione”) per impedire ai programmatori di abbandonare l’azienda e diventare concorrenti, come era successo per Activision. Questo sistema di incentivi istituito proprio con il completamento di Pac-Man, cambia la vita di Tod Frye assegnandogli 10 centesimi per ogni cartuccia di Pac-Man venduta. E quindi, in conseguenza il suo iniziale sfrenato successo, Tod diventa incredibilmente ricco, arrivando a guadagnare oltre 1 milioni e trecentomila dollari.
Tutta quella fortuna per un tipo come Frye è travolgente. Per lui è come vincere alla lotteria, e preso dall’incoscienza dei suoi 26 anni vede tutto quel denaro come un’enorme quantità di marijuana e cocaina nella quale tuffarsi a pesce. La sua vita cambia completamente e il suo stipendio passa da 19.000 paperdollari all’anno a 320.000. Il cervello gli va in fumo ( in tutti i sensi) e spesso rischia la vita per gli eccessi nei quali si prodiga.
Come prima cosa fa una fotocopia del suo assegno di royalties ( 320.000 dollari ) e lo appende nella bacheca pubblica di Atari. Molti colleghi non la prendono bene e ottiene il risultato di spaccare in due la categorie tra chi lo ritiene un genio e chi lo ritiene un pagliaccio. Poi acquista 15 chitarre vintage, nuovi abiti, due Alfa Romeo, un ranch nel New Mexico e altro ancora.
Incapace di gestire tutto quel successo diventa anche arrogante, e la nuova Alfa Romeo Spider con cui va in giro ha scritto sulla targa “PACMAN”.
Nel 1985, la maggior parte dei soldi era andata. Cattivi consigli e cattive scelte lo avevano prosciugato finanziariamente. Cade in depressione e sfiora il suicidio. Erano stati troppi soldi e troppo in fretta.
Adesso Tod Frye ha un’impressionante carriera di ingegnere software alle spalle e lavora su tutto, dai videogiochi, all’energia solare, alle intelligenze artificiali. Quando legge gli articoli degli esperti di retrogaming che affermano che il fallimento critico di Pac-Man per 2600 ha dato il via a una frana che ha travolto Atari, lui ridacchia. « Dicono che Pac-Man ed E.T. hanno rovinato l’intero settore! » Per lui Pac-Man ha solo insegnato agli acquirenti dei videogiochi a guardare con più attenzione alle nuove uscite prima di aprire il portafoglio, e il suo impatto negativo è stato esagerato. Tod ride. Quello che non si può dire di lui è che non abbia una storia interessante da raccontare, e il più delle volte le persone vogliono solo quello, una storia, nemmeno particolarmente credibile ai giorni nostri, ma interessante da ascoltare… il più delle volte, e lui una storia ce l’ha. È l’uomo che ha convertito Pac-Man sull’Atari 2600.