prototipi atari
Se c’è una cosa per cui Atari è diventata famosa nel corso degli anni sono i suoi giochi prototipo. A 51 anni di distanza dalla fondazione della casa videoludica più ganza della via lattea voglio esplorare a fondo questa interessante sezione occulta della sua storia. Molti di questi prototipi Atari non vanno mai oltre la progettazione concettuale e qualche sessione di brainstorming, ma qualcuno riesce a guadagnarsi un cabinato tutto suo e dei test sul campo, e proprio l’esito negativo di questi test rappresenta l’ascia che decapita il progetto.
Signori, qui non si parla di console 2600 o 7800, così come non si parla di computer a 8 bit. Qui trattiamo di prototipi arcade e vi conviene seguire me e Mike Arcade perché c’è un sacco di strada da fare insieme. RAUS!
Tra i primi prototipi Atari che non vengono mai rilasciati c’era sicuramente “Snoopy Pong”; una specie di “Pong variant” dove si cerca di sfruttare il famoso personaggio dei fumetti “Peanuts” di Charles Schultz.
Dal punto di vista dell’attrattiva sui più giovani il progetto è decisamente interessante. Unico neo: non viene presa in considerazione la reazione di Schultz a riguardo. Il buon Charles s’incazza a bestia e nega ad Atari qualsiasi autorizzazione per l’uso dei suoi personaggi. C’è bisogno che il disegnatore metta in moto gli avvocati e minacci querele per far sì che il progetto venga accantonato.
Tra parentesi, il fatto di sfruttare l’immagine dei Peanuts è una cosa puramente estetica. Il gioco in sè non è altro che un normalissimo “Pong”, solo il cabinato si ispira direttamente al fumetto.
Ma secondo voi, Atari ( la Atari dell’alba, intendo ) è capace di gettare nel tritarifiuti un concept simile dopo tutto il lavoro che ci ha dedicato? Naaa, macchè. Chi conosce un minimo i regaz di Sunnyvale sa perfettamente che da quelle parti i braccini sono sempre stati particolarmente corti e spesso si tende a riciclare tutto.
Ecco allora che “Snoopy Pong” viene riconvertito in “Puppy Pong”. Via tutti i riferimenti ai fumetti di Schultz, una mano di vernice gialla, et voilá, il gioco è fatto (in tutti i sensi). Lo mettono in prova all’interno di una pizzeria ma non se lo fila nessuno.
Dice: perché?
Perché non è il luogo giusto!
Il gioco originale si dovrebbe chiamare “Dottor Pong” ed è stato concepito per essere posizionato nelle sale d’attesa delle pediatrie. Scopo: tenere i bambini occupati e spillare spiccioli ai genitori. È quindi nato per farsi adorare dai più piccoli, ma all’interno di una pizzeria i clienti non sono necessariamente COSÌ piccoli, e se devono scegliere se giocare a “Pong” nella sua versione standard o nella versione “Puppy Pong”, ovviamente optano per la prima.
Dopo questo test fallimentare, il progetto “Dottor/Puppy/Snoopy Pong” viene definitivamente chiuso. Per altro, come a sigillarne la bara, Schultz tira nuovamente per la giacchetta Atari e minaccia ancora querele perché il “Puppy Pong” somiglia troppo allo “Snoopy Pong”, e anche stavolta il vecchio ha dannatamente ragione da vendere.
Ovviamente, questi non sono gli unici prototipi Atari di Pong. La ditta trova il modo di offrire lo stesso gioco in formati molto particolari e graditi agli americani (beoni). Il primo è “Pong-In-A-Barrel”, un Pong infilato direttamente dentro a una botte. La leggenda narra che sia stata un’idea di Nolan Bushnell e che la produzione non riuscì mai ad entrare a regime perché le botti dovevano essere reperite da fornitori esterni che fecero problemi sul prezzo e le consegne. Questo particolare tipo di Pong è reputato un’autentica reliquia ( con lo stesso livello di sacralità ) e i pochi collezionisti che lo posseggono lo conservano gelosamente.
Stesso discorso per questo “Barrel-Pong”, appositamente studiato per i beoni radical-chic. Viene rilasciato in ristrette quantità anche se, grazie al suo diverso design rispetto al modello precedente, non incontra particolari problemi di produzione.
A volte però succede che le idee per i nuovi giochi siano semplicemente poco divertenti, oppure che le limitazioni della tecnologia dell’epoca non consentano di realizzarle. Un gioco chiamato “Boxer” segue quel destino. Gli vengono apportati vari aggiustamenti hardware perché i controlli tendono a scassarsi dopo poco tempo, ma una volta che il cabinato viene posizionato per essere testato non guadagna abbastanza per passare alla fase di produzione in serie. L’idea però non è male e alla fine il gioco viene rilasciato lo stesso ma non da Atari, bensì da quei traditori di Activision sotto il nome di “boxing” e girare su piattaforma 2600. Perché, come ogni buon atariano ben sa, quelli di Activision sono i protestanti che han fatto lo scisma e si meritano la dannazione, ma hanno anche un bel po’ di ragione nell’averlo fatto.
Quello che però mi piace di più dei prototipi è il loro design innovativo, le decorazioni curate e le nuove tecnologie che si cercano di implementare. Prendete per esempio un gioco come “Wolf Pack”.
“Wolf Pack” a vederlo in questa foto sembra un’enorme fornellino da campeggio di quelli a butano, ma vi assicuro che, MAREMMA BUTANA, utilizza un visualizzatore di periscopio VERO che ruota attorno a un monitor installato nella parte inferiore del cabinet. Il giocatore scruta dal periscopio e, grazie a degli specchi, osserva il monitor che è DENTRO la torretta, nella parte sotto. Questo gioco viene realizzato nel 1978 e, se il progetto fosse andato avanti, sarebbe stato il primo a presentare l’uso di una voce digitale due anni prima di “Stratovox” di Taito.
Poi c’è Sebring (1979) che è un gioco di corse che prende di tacco “Pole Position” quattro anni prima che “Pole Position” venga immesso sul mercato.
Ha molteplici caratteristiche hardware uniche. Il giocatore si mette a sedere DENTRO il cabinato e poi, come prima cosa, deve mettere in moto il motore. Uno specchio curvo rimanda l’immagine del monitor a colori che sta in un pozzetto, dietro al volante. Questo per creare un modo diverso di visualizzare l’immagine. Si gioca in prima persona, come se si fosse veramente seduti alla guida del bolide e sotto il sedile c’è un altoparlante che riproduce il brontolio del motore.
E con questo ci lasciamo alle spalle gli anni ’70. Gli ’80 sono già all’orizzonte e si meriteranno un altro post.