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La strana storia di RESIDENT EVIL

Reading Time: 9 minutes

Resident Evil

 

Come deve essere fatto un buon videogioco horror? Deve saper spaventare? È davvero così importante che “spaventi” in senso classico? Con tanti Bubu7te uno dietro l’altro e le scene gore? O è più importante che costruisca la giusta atmosfera inquietante affidandosi ad una trama seria e dei personaggi credibili?
Questa e millemila altre domande che mi pongo durante la giornata trovano risposte in Atariteca Podcast.
Il vostro podcast preferito che indaga le origini del retrogaming, racconta la storia di iconici programmatori, e sviscera gli anfratti oscuri del vostro videogioco preferito.
In particolare questa puntata vi parlerà del primo capitolo della saga di Resident Evil. Ma ecco già che si affaccia la domanda successiva: prima di Resident Evil c’erano stati altri videogiochi horror?
Ed ecco che arrivano tutte le risposte che cercate.

Già nel 1982, Atari aveva pubblicato l’innovativo Haunted House di James Andreasen, un gioco in cui il giocatore è rappresentato come un paio di occhi e gli viene chiesto di esplorare la casa del proprietario recentemente scomparso, Mr. Graves.
Il DNA di Resident Evil lo si può trovare proprio lì, in quel classico Atari.
Si può trasportare solo un numero limitato di oggetti alla volta. La fuga è preferibile alla lotta. Nei livelli più avanzati puoi vedere i muri della casa solo se accendi un fiammifero. (audio risata satanica)
Eppure, a pensarci bene, se dobbiamo parlare del vero antenato di Resident Evil, dobbiamo parlare di Alone In The Dark, sempre di Atari, o perlomeno di quella compagnia precedentemente conosciuta come Infogrames.

Ovviamente, dopo Haunted House e prima che Infogrames aprisse quella strada erano già stati pubblicato altri titoli simili. Sempre nel 1982, per esempio, c’era 3D Monster Maze per il Sinclair ZX81, un gioco in cui il giocatore non dispone di alcuna arma e cerca di salvarsi da un Tirannosauro Rex che lo insegue incessantemente. Un anno dopo uscì il pionieristico Ant Attack , non solo il primo vero videogioco isometrico ( mi dispiace Q*bert ), ma uno dei primissimi in cui il giocatore poteva scegliere il proprio sesso.

Nelle sale giochi, invece, c’era il Monster Bash di Sega, poi convertito sul Master System nel 1986 come del resto anche Ghost House. In quello stesso anno debuttò Castlevania di Konami e Splatterhouse di Namco. Poi nel 1989, su NES arrivò Sweet Home.

L’ORIGINE DEL MALE

Partorito dal designer di videogiochi Tokuro Fujiwara, i cui successi sotto Capcom sono innumerevoli fra cui Pooyan, Rock’n Rope, Ghosts ‘n Goblins, Commando, Bionic Commando e molti altri, Sweet Home di Capcom su NES è l’adattamento videoludico dell’omonimo film horror, uscito nei cinema giapponesi sempre nel 1989.

Diretto dalla leggenda del J-horror Kiyoshi Kurosawa , il film è piuttosto buono! Con effetti visivi gestiti dal grande Dick Smith, e presenta un superbo demone animatronico alla fine. Il gioco derivato è abbastanza buono, anche se è improbabile che ci abbiate giocato, eh?! ( Sweet Home venne distribuito solo in Giappone.)

Sebbene il gioco fosse stato accolto molto bene, comunque, Fujiwara decide di farne un remake di nuova generazione. «La premessa di base era che sarei stato in grado di fare le cose che non ero stato in grado di includere in Sweet Home», disse al tempo. «Era principalmente sul fronte della grafica che la mia frustrazione si era accumulata. Ero anche fiducioso che i giochi horror potessero diventare un genere a sé stante.»

E, però, ecco. Dopo arrivò Alone In The Dark .

 

Rilasciato per PC, basato sugli scritti di HP Lovecraft e ambientato in una villa infestata degli anni ’20 chiamata Derceto Manor, Alone In The Dark era diverso da qualsiasi videogioco visto fino a quel momento. Utilizzava sfondi pre-renderizzati, angoli di ripresa stretti e claustrofobici, era in 3D… e c’erano anche dei polli zombi!

resident evil
EEEK!

Con il senno di poi, le immagini di Alone In The Dark sono troppo luminose e ampie per essere davvero spaventose, ma l’atmosfera è inquietante e tiene il giocatore sulle spine; come in Sweet Home gran parte della narrazione viene svelata tramite note o letture di libri sparsi nella villa, messi lì per essere trovati e letti dal giocatore. E ci sono anche degli enigmi!
Tutto questo rende Alone In The Dark il vero detentore del titolo di First Survival-Horror Game al mondo. Non mi credete! Lo dice il Guinness dei primati! Vabbè. Avete ragione. Per quel che conta il Guinness…
Fatto sta che Fujiwara gioca ad Alone In The Dark e afferma: « È un esempio di come si debba realizzare un gioco horror » Effettivamente, non c’era mai stato un gioco horror simile prima.

 

Fujiwara affida al giovane sviluppatore Shiniji Mikami il progetto che diventerà Resident Evil, con l’obiettivo finale di rilasciarlo su PlayStation, quella nuova console appena uscita sul mercato che prometteva tanto bene. Mikami, dal canto suo non è uno sprovveduto e tantomeno un neofita, ha già lavorato a una serie di videogiochi su licenza Disney tra cui l’incredibile successo di Aladdin nel 1993.
Girava voce nello studio che amasse l’horror ma odiasse essere spaventato e un giorno Fujiwara gli si avvicina e gli chiede se quella diceria fosse vera: Mikami gli risponde di “sì”. «Se avesse risposto che non si spaventava, non avrei potuto affidargli il progetto. Le persone che non hanno paura di niente non capiscono cosa sia veramente spaventoso. Dal mio punto di vista, non puoi creare un gioco horror se non hai paura» ride Fujiwara durante un’intervista.

Mikami, però, che si spaventasse o meno non condivide la convinzione del suo capo. Per lui l’horror non potrà mai essere il nuovo genere videoludico di successo, ma poi, durante la lavorazione ha un’epifania. « ho pensato a quanto fosse esaltante abbattere uno zombi e alla sensazione che si potesse avere nel farlo, sensazione che sicuramente non si poteva provare guardando un film», dice. «Quella è stata la prima volta che ho davvero capito che avevamo un nuovo genere tra le mani ».

È stato detto che i film sugli zombi del mai troppo compianto George A. Romero abbiano influenzato tantissimo Resident Evil. La verità è più complicata di così. Mikami afferma che il videogioco è stato più ispirato dal film Zombi 2, una pellicola italiana del 1979 della leggenda di genere Lucio Fulci che presenta in modo memorabile una scena in cui uno zombi sottomarino combatte uno squalo

Il film è stato commissionato come sequel di Dawn Of The Dead di Romero nel 1978. (Romero sarebbe tornato per girare un trailer live-action di Resident Evil 2 nel 1998. Era uno dei candidati per dirigere anche il primo film. Non lo fece , ma ci arriveremo dopo…)

Eppure l’importanza di Zombi 2 per la storia di Resident Evil è fondamentale; Mikami non aveva particolarmente apprezzato quel film e pensava che con il suo nuovo incarico costituisse l’opportunità di raccontare un tipo di storia di zombi diversa, quella che lui voleva. Ciò ha comportato molti tentativi, errori, e l’utilizzo di alcune idee già viste in Alone In The Dark . Inizialmente c’era l’idea di fare un gioco cooperativo a due giocatori ma poi si virò verso l’FPS: gli screenshot del gioco prototipo sono ancora in giro online. Alla fine il gioco è andato in una direzione tutta sua; atmosfere crude, enigmi laterali e munizioni che non sono mai abbastanza, in breve, i tratti distintivi del survival horror hanno prevalso sulle sparatorie piene di azione.

Vi faccio notare che, in qualche modo, la crisi d’identità che ha paralizzerà la serie per un po’ di anni (e sequel ) a venire, ha piantato i suoi semi proprio all’inizio del franchise.

 


Il primo Resident Evil racconta la storia della task force d’élite STARS [che starebbe per Special Tactics And Rescue Services], e lo fa dal punto di vista dei singoli membri del team, Chris Redfield e Jill Valentine. All’inizio viene data la scelta di chi interpretare. Alcuni dei compagni di squadra STARS sono scomparsi e i giocatori esplorano la periferia di Racoon City nel tentativo di trovarli. Trovano invece una villa inquietante. Entrano dentro e inizia l’incubo.

Capcom rilascia in gioco col nome di “Biohazard” nel nativo Giappone e lo conserverà per tutte le versioni seguenti che verranno rilasciate in quel paese. Nel resto del mondo sarà per tutti “Resident Evil” e questo per il semplice fatto che il Direttore delle comunicazioni senior di Capcom, Chris Kramer, si rese conto che il nome “Biohazard” non poteva essere registrato negli Stati Uniti

« Ho fatto notare che negli Stati Uniti era appena uscito uno schifoso gioco DOS chiamato “Biohazard” – per non parlare dell’omonima band hardcore di New York – e che non saremmo mai stati in grado di assicurarci il marchio. Di conseguenza, il responsabile del marketing ha indetto un concorso a livello aziendale per trovare un nuovo nome per il gioco [da rilasciare sugli altri territori]. La voce vincente è stata Resident Evil, una sorta di gioco di parole; questi era un gioco ambientato all’interno di una villa modellata sull’Overlook Hotel del romanzo bestseller di Stephen King del 1977 The Shining. Trivia: lo stesso Kramer vota contro; «Ho pensato che fosse super scadente».

 

« Durante il periodo in cui lo stavamo realizzando, la mia sensazione personale era che Resident Evil non fosse un gioco da trasformare in una serie», afferma Mikami. «Questo perché l’horror tende ad adottare schemi a cui è facile abituarsi, il che significa che è facile annoiarsi. Non avrei mai pensato che il gioco sarebbe diventato un così grande successo». Mikami si aspettava che il gioco vendesse circa 200.000 copie.

Rilasciato il 22 marzo 1996, ad oggi il primo gioco di Resident Evil è vicino a cinque milioni e mezzo di vendite. L’intero franchising ai 110 milioni. I parallelismi tra Sweet Home e Biohazard sono piuttosto estesi: le sequenze di apertura delle porte di Biohazard sono ispirate a Sweet Home, mentre alcune delle impostazioni dei giochi sono schiettamente condivise.
«Per i primi sei mesi di sviluppo», spiega Mikami, « io ero il ‘team’. Sei mesi dopo sono stato raggiunto da un altro pianificatore, ma dopo tre mesi di lavoro insieme se n’è andato per lavorare allo sviluppo di un altro progetto. Dal nono mese in poi, il numero del personale è improvvisamente salito a 15 e da quel momento in poi il team è cresciuto gradualmente di numero fino a quando, verso la fine dello sviluppo, abbiamo avuto più di 50 persone che lavoravano su Biohazard.»
Una volta stabilito il team, Production Studio 4 di Capcom si è rapidamente impegnato a trasformare le idee di Mikami in realtà tangibili e giocabili. Una prima build del gioco prevede un sistema di telecamere da spalla simile a quello che sarebbe stato poi utilizzato in Resident Evil 4, ma diviene presto evidente che l’hardware PlayStation non è all’altezza del compito per gestire un design così ambizioso. (Almeno, nel 1995 non sembrava essere capace di tali imprese.)

«Abbiamo utilizzato i gemiti degli zombi e i loro passi per mettere in allarme il giocatore durante il corso del gioco. E Anche quando sapevi già che dietro l’angolo ci sarebbe stato uno zombi, abbiamo creato punti ciechi in modo che i giocatori non potessero vederli immediatamente, e questa soluzione ha prodotto a sua volta una sensazione di paura che attanaglia i giocatori per tutta la partita.»

Quando Mikami inizia a progettare Biohazard nel gennaio del 1994, né PlayStation di Sony né Saturn di Sega sono sul mercato e in Giappone Nintendo è in pole position grazie all’ampio successo del Super Famicom. Biohazard non è mai stato pianificato come un’esclusiva per PlayStation e, logicamente, Capcom era determinata a coprire entrambe le console in arrivo con il suo gioco. Ma era più facile a dirsi che a farsi.

«Inizialmente, stavamo procedendo con lo sviluppo simultaneo su entrambi i formati [PlayStation e Saturn]”», ricorda Mikami. «Abbiamo continuato così per circa un anno, ma poi quel programma è stato sospeso. Realizzare Biohazard per una nuova console era già abbastanza difficile, era hardware originale: svilupparlo per due tipi di hardware contemporaneamente era troppo dura a causa della mancanza di personale per lo sviluppo e della carenza delle competenze necessarie. Ecco perché abbiamo deciso di ridurre il rilascio una sola versione per una sola console.» La versione Saturn alla fine arrivò nel luglio del 1997, circa 16 mesi dopo che l’originale per PlayStation era già stata rilasciata in Giappone, il che fu un duro colpo per Sega.

Sebbene l’atmosfera all’interno di Production Studio 4 sia positiva, Capcom fatica non poco a tenere unito il team di Biohazard. Mikami spiega: « Poiché lo sviluppo di Biohazard era troppo difficile per loro, ricordo come, uno per uno, lo staff si dimettesse dall’incarico. Penso che tutti si sentissero incapaci di portare a termine il compito. C’era un’atmosfera febbrile nel team di sviluppo. Lungo la strada siamo arrivati ​​al punto in cui i nostri strumenti di sviluppo non erano sufficienti per quello che volevamo fare, quindi per compensare abbiamo fatto i doppi turni per garantire che il team lavorasse 24 ore su 24.»

Con i risultati ottenuti non sorprende che Capcom non abbia avuto dubbi sul fare un sequel al più presto possibile, e il lavoro sul secondo capitolo inizia appena un mese dopo il completamento del primo.
Ambientato due mesi dopo gli eventi di Resident Evil, la storia del sequel verte sugli sforzi di un poliziotto alle prime armi, Leon S. Kennedy, e della sorella minore di Chris, Claire Redfield, nel loro tentativo di fuggire da Racoon City dopo che l’epidemia nella villa si è diffusa.
Ancora una volta il giocatore può scegliere quale giocatore desidera controllare, con diversi ostacoli e storie che si svolgono a seconda di quale è stato scelto.

Mikami è tornato, ora è produttore con Hideki Kamiya – un pianificatore del primo gioco che è entrato a far parte di Capcom solo nel 1994 – e che ha assunto il ruolo di regista. Fin dall’inizio il processo creativo è duro.
Il team di sviluppo del nuovo gioco consiste in una divisione composta dai nuovi dipendenti e coloro che hanno già lavorato al primo capitolo. Kamiya e Mikami si scontrano spesso con le loro diverse visioni. Alla fine il producer fa un passo indietro, chiedendo solo di essere aggiornato sull’andamento del gioco una volta al mese.
Con una data di rilascio prevista per maggio 1997, Mikami pensa che la build – con diversi assets ritenuti soddisfacenti se presi singolarmente, ma deludenti se messi tutti insieme – alla fine si sarebbe consolidata in un buon gioco. Poi, poco dopo e con il gioco che si avvicina al “60-80% del suo completamento, la spina viene staccata. Il gioco resta incompiuto ed è noto ai fan come Resident Evil 1.5 .

RESIDENT EVIL 1.5

Nel 2013, Resident Evil 1.5 trapela su Internet offrendo uno scorcio affascinante di ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato. La sua trama racconta che l’azienda corrotta e antagonista della serie , la Umbrella Corportation, è stata chiusa.
Claire non compare, c’è invece Elza Walker, una studentessa universitaria e motociclista in vacanza a Racoon City che in pratica ricopre lo stesso ruolo di Claire. Ci sono poliziotti più attivi. Niente Ada Wong, una figura di antieroina che in Resident Evil 2 stringerà un misterioso patto con Leon. L’iconica stazione di polizia in cui è ambientata gran parte del gioco è molto più piccola ma molto più moderna.

Insomma, una serie di svolte di trama che poi non si concretizzeranno mai e che, anzi, per una dettagliata spiegazione delego il compito ad Andrea Porta e il suo episodio di Storie Di Videogame di prossima venuta.

FONTI:

https://www.fandom.com/articles/the-weird-and-wonderful-history-of-resident-evil

https://www.gamesradar.com/making-of-resident-evil-shinji-mikami-interview/


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.