nolan bushnell
Nolan Bushnell è un soggettone del mondo dei videogiochi. Uno dei… Quanti saranno? Sette, otto di quel mondo lì che proprio non si posso ignorare. Sono certo che ognuno di voi avrà i suoi preferiti, per cui, per evitare di menarci subito forte e vedervi scrivere nei commenti «ma non hai citato questo che è troppo il migliorissimo!», non menzionerò nessun’altro, ma anzi, articolerò la questione un filo meglio.
Nolan Bushnell è uno dei soggettoni del mondo dei videogiochi. Il suo operato ha definito il concetto di videogioco commerciale. S’è inventato qualcosa, come ha fatto (prima di lui) il suo contemporaneo Ralph Bear. Poi dopo è venuto un esercito di gente che lo ha copiato e altri ancora che lo hanno preso come ispirazione. Quindi, tentiamo di dirlo nel modo più semplice possibile: Bushnell ha creato una società di intrattenimento videoludico, l’Atari, che ha sconfinato in diversi ambiti tecnologici e commerciali, creando e monopolizzando per un certo periodo il mercato dei videogiochi a gettone, delle console casalighe, degli home computer (perlomeno c’ha provato), e del software per l’intrattenimento in generale. Poco importa se la maggior parte del successo commerciale di Atari è stato raccolto dopo l’uscita di Bushnell dall’azienda. Ciò che conta è che quel seme lo ha piantato lui, Atari l’ha fatta fiorire lui, e se per crescere adeguatamente ha avuto bisogno del fertilizzante di Warner Communication, poco importa. Banale dirlo, ma a quel tempo sarebbe stato ancora più facile farsi prendere la mano e, pur partendo da una posizione dominante, mandare tutto quanto a puttane come alla fine è successo. È l’ingrato compito del primo della fila quello di commettere errori che il secondo eviterà (commettendone di nuovi).
Atari era la prima, e in quanto tale non sarà mai dimenticata. Sigla.
È il 5 febbraio del 1943 e a Clerafield, vicino al grande Salt Lake nello Utah, nasce Nolan Kay Bushnell. La sua famiglia era mormone e suo padre è un imprenditore di cemento. Nolan è un radioamatore; W7DUK il suo indicativo di chiamata. Il suo primo progetto imprenditoriale fu un lavaggio macchine con riparazione radio/TV annesso.
A scuola va bene. Va a molte fiere della scienza con piccole invenzioni stupide che poi non funzionano quasi mai, tipo interruttori ad attivazione vocale. È un burlone di prima categoria. Una notte lega una lampadina a un aquilone gigante, ingannando alcuni cittadini locali e facendogli credere che stessero arrivando gli alieni. In seconda media è già altro 1 metro e 93. È bravo nello sport ma non eccellente ( troppo alto e sgraziato ). È nella squadra di basket della scuola, ma di solito sta seduto in panchina. Gli allenatori dicono che con la sua altezza, non appena riuscirà ad ottenere la coordinazione, diventerà una bomba d’atleta. Lui, quella coordinazione la sta ancora aspettando oggi.
Al liceo, è un gran secchione. È affascinato dall’umanistica e quando passa all’università dello Utah, frequenta tanti corsi di filosofia quanto quelli di matematica.
Una notte, durante una partita a poker, Nolan perde tutti i soldi che servivano a pagere le sue tasse scolastiche e per procurarsi il necessario per pagare la retta è costretto a passare le successive due estati lavorando presso un’attrazione lungo il viale centrale del Lagoon Amusement Park, un parco di divertimenti nella contea di Davis nello Utah, prendendo posto in uno stand in cui, per un quarto di dollaro, i clienti hanno tre possibilità di colpire alcune bottiglie di latte con una palla da baseball. È lì che ha la visione che un giorno, proprio quel posto, sarebbe stato riempito da file e file di videogiochi a gettone. Ma con i computer mainframe come quelli della scuola, che costano milioni di dollari, pesano tonnellate, e non sarebbero mai passati attraverso una porta, anche se le cose per lui fossero andate benissimo e avesse guadagnato un sacco di quarti di dollaro, ci sarebbe andato alla pari.
Così decise di mettere da parte la sua trovata geniale, almeno per il momento.
Questo è il primo innesco per la nostra storia, e dimostra che molto più che qualcosa, durante questo lungo cammino che stiamo per intraprendere, appartine, sì, alla sfera del genio ma anche della casualità, perché la storia di Atari è fatta dalle persone che ci hanno lavorato e dalle scelte che sono state prese in un ben preciso momento storico, decisioni prese troppo spesso a occhi chiusi ma che avrebbero avuto differenti ripercussioni, bastava aprirli./em>
Perché La storia di Atari è tutta in una delle prime frasi storice del suo fondatore. È facile da giocare ma difficile da padroneggiare.
Io sono Simone Guidi e questa è la storia di Atari. Questa extrateca vi racconterà il regno di Nolan Buhnell dal 1972 al 1978
Nei primi anni ’60, uno studente di ingegneria dell’università dello Utah di nome Nolan Bushnell perse tutti i soldi della sua retta giocando (male) a poker. Per rimediare al clamorosissimo FAIL si cercò un lavoretto per fare cassa e lo trovò in un parco divertimenti vicino a Salt Lake City, gestendo diverse attrazioni che richiedevano il pagamento di pochi spiccioli. All’università, essendo un laureando in ingegneria, Bushnell accedeva alla sala computer e, come tutti gli altri aspiranti ingegneri, giocava a un gioco che gli studenti di ingegneria giocavano nei laboratori informatici fin dal 1962, quando uno studente del MIT* di nome Steve Russell lo scrisse, si chiamava “Spacewar”. E Nolan divenne uno “Spacewar!” dipendente.
Ma Nolan non era come i suoi compagni di studio, Nolan era diverso. Per lui “Spacewar!” non era solo un gioco; per lui poteva essere benissimo un modo per fare tanti soldi. Se fosse riuscito a mettere un gioco come “Spacewar!” in quella dannata sala giochi piena di flipper era strasicuro che la gente avrebbe fatto la fila per giocarci.
A quel tempo però, i computer erano ancora troppo ingombranti e costosi per mettere in pratica la sua idea. La accantonò, così come la voglia di giocare a poker, e nel 1968 riuscì a laurearsi per poi trasferirsi dove tutti si trasferivano in quel momento; in California, posto dove si facevano cose e si vedeva gente.
Sfumata l’idea di lavorare per Disney a causa della sua esperienza inesistente, trovò lavoro in una società di ingegneria chiamata Ampex. Tenete bene a mente questo nome: Ampex; perché è ad essa che Nolan Bushnell ruberà tutto, dai colleghi di lavoro alle connessioni nell’ambiente, fino ai pezzi necessari per costruire il suo primo videogioco, di notte, nella camera da letto convertita in laboratorio della figlia (non pensate male, Nolan Bushnell non era un padre snaturato. La figlia dormiva nell’altra camera insieme a sua sorella). Il monitor per il suo prototipo era un televisore in bianco e nero, e il nome del gioco “Computer Space“.
Con l’aiuto del collega Ted Dabney, finì di costruire il prototipo e poi si guardò intorno per trovare qualcuno che potesse produrlo in serie e, soprattutto, venderlo. Su consiglio del suo dentista, categoria questa che allora come ora faceva i soldi veri e sapeva pure dove investirli, si rivolse a un produttore di giochi a gettone, la Nutting Associates. Nutting accettò di costruirgli e vendergli Computer Space in cambio di una quota dei profitti. Bushnell, ovviamente, divenne un ingegnere dell’azienda.
Ora, però, dovete sapere che nel 1971, anno in cui il gioco di Nolan Bushnell venne messo in commercio, gli standard delle macchine a gettone erano radicati nell’elettromeccanica e sul mercato andavano forte esclusivamente robe tipo i flipper e gli skee-ball, macchine dove c’erano parabordi che facevano rimbalzare palline metalliche, e contatori che quando segnavano punti risuonavano fragorosamente. “Computer Space” si presentava come il primo videogioco elettronico arcade in assoluto e niente di simile era stato visto prima in un luogo pubblico, la clientela era diffidente e vedeva il gioco come una specie di alieno troppo complicato per essere capito. Non passò molto tempo che Nutting diede segno di disaffezione e in pratica interruppe produzione e promozione del prodotto con grande disappunto di Bushnell. Le cose stavano così: Nutting non ci credeva più e si tirava fuori dai giochi. È stato bello finchè è durato Nolan ma ci dispiace tanto, spegni le luci e chiudi la porta quando esci, clicchiti-clak.
Dal canto suo Nolan riconobbe di aver creato un gioco forse un filo troppo complicato per quei tempi dato che richiedeva di leggere attentamente LE ISTRUZIONI prima di essere usato e avere un minimo di cognizione della fisica dell’inerzia per essere giocato. Si ripropose che il prossimo videogioco sarebbe stato così facile che perfino un ubriaco avrebbe saputo giocarci.
Per poterlo realizzare contattò tre ex-colleghi della Ampex (sempre lì si torna) e gli propose di creare questa nuova società inizialmente denominata Syzygy ma che ben presto dovette cambiar nome perché la gente non riusciva neanche a pronunciaro e il brevetto della parola era già di una ditta che faceva candele, o altra roba sicuramente poco videogiocosa. Atari Inc., così venne ribattezzata Sygyzy, fu fondata nel 1972 in California, Stati Uniti d’America, da Nolan Bushnell e Ted Dabney. Dei 3 soci iniziali, uno si tirò indietro. Larry Bryan, decise di abbandonare la nave ancor prima che salpasse. Nolan e Ted compensarono elevando la propria quota societaria a 250 dollari ciascuno, diventando automaticamente due pionieri dei videogiochi arcade, dei videogiochi casalinghi e di tutto ciò che potesse essere cool in una manciata di bit. Larry, invece, adesso è solo una nota a piè di pagina nella storia dei videogiochi.
Fatta l’azienda bisognava fare gli affari. Nolan Bushnell ancora non aveva chiaro in mente che direzione prendere, se creare videogiochi per darli in concessione a terzi, oppure fare tutto in casa: creazione del concetto, fabbricazione, e distribuzione del prodotto. Visto che di soldi non ce n’era, optò per la prima soluzione. Assunse un ingegnere di nome Allan Alcorn (tessera Atari # 1) per sviluppare videogiochi e nel frattempo installò vari flipper in diverse sale giochi e locali della zona, tra cui anche un bar chiamato Andy Capp’s Tavern. Tenete a mente anche questo nome perché, come Ampex prima, svolgerà un ruolo fondamentale nella storia.
La liquidità generata dai flipper avrebbe aiutato a finanziare l’azienda fino a quando i videogiochi non sarebbero stati pronti. E a proposito di videogiochi: il primo incarico di Al Alcorn fu quello di sviluppare un semplice videogioco in stile ping-pong che Bushnell aveva visto durante una dimostrazione (non entriamo nel merito di quella questione con Ralph Bear sennò ci facciamo notte) e Bushnell cominciò a farlo vedere in giro, ai vari produttori di macchine a gettone, in modo da poterlo concedere in licenza.
Il gioco si chiamava PONG ed era molto divertente. Bushnell, con una “versione portatile”, si fiondò a Chicago negli uffici della Bally Midway per proporglielo, ma ricevette solo pernacchie.
Contemporanemante PONG veniva testato sul campo e la prima installazione venne effettuata, guarda caso, presso la Andy Capp’s Tavern. Al proprietario del locale bastarono due giorni per richiamare Atari, lamentandosi che il gioco si era già rotto. Alcorn uscì per risolvere il problema, e non appena arrivò sul posto e aprì la gettoniera si rese conto di cosa era veramente accaduto: il cabinato era pieno di monete da un quarto di dollaro, il contenitore era traboccato e i quartini avevano inceppato la macchina. Questa però è solo metà della storia. Il proprietario del bar disse anche che la mattina, quando era arrivato per alzare il bandone, le persone erano già in attesa davanti al locale ma non per farsi una birra o consumare, bensì per giocare a Pong e poi andarsene senza ordinare niente. Non aveva mai visto niente di simile.
Alcorn si precipitò in ufficio e telefonò al suo capo per dirgli come stavano le cose, e dopo che Bushnell lo ebbe ascoltato decise di lasciar perdere le terze parti. In un modo o nell’altro Atari avrebbe fatto tutto da sola.
Dal momento in cui venne introdotto, nel 1972, Pong fu una gallina dalle uova d’oro. Se lo si piazzava in un buon punto dove c’era un costante flusso di persone, un singolo cabinato riusciva a guadagnare più di 300 dollari a settimana, sei volte tanto rispetto ai 50 a settimana che riusciva a racimolare un normalissimo flipper. Atari riuscì a vendere più di 8.000 cabinati di Pong in un momento in cui anche i flipper più popolari raramente vendevano più di 2.500 unità, e sarebbe riuscita a venderne ancora di più se il mercato non fosse stato invaso subitamente dai cloni della concorrenza. Ma Pong fu solo l’inizio, perché Atari riuscì a rimanere sempre un passo avanti rispetto agli altri inventando un nuovo gioco arcade dopo l’altro, tra cui il mitico Breakout, al cui perfezionamento contribuirono anche Steve Jobs ( tessera Atari # 40), e il suo amico Steve Wozniak al tempo ingegnere presso Hewlett-Packard.
Galoppando sui fasti di PONG, nel 1975 Atari decise di entrare anche nel mercato dei videogiochi casalinghi con la creazione di una versione domestica. La strategia per vincere? Vendere attraverso catene di grande distribuzione come Sears e Kmart. Solo nella prima stagione di vendite, Atari riuscì a piazzare 150.000 pezzi. Bushnell decise di premere ulteriormente sul pedale del gas copiando l’idea di un concorrente per un sistema di videogiochi a cartucce intercambiabili: la console Fairchild VES, successivamente ribattezzata, proprio a causa di Atari, CHANNEL F. Il concetto era semplice: la console era un sistema di gioco universale in cui si potevano inserire varie cartucce ognuna della quali permetteva di giocare a un gioco diverso.
Ma se l’idea era grandiosa, il vero problema per Atari era realizzarla. Inventare un sistema a cartuccia da zero e produrne in volumi abbastanza grandi da poter battere i concorrenti costava una fortuna di cui Atari non disponeva. L’unico modo per avere il denaro sufficiente sarebbe stato vendere l’azienda alla Warner Communications (oggi Time Warner) per 28 milioni di paperdollari. Era il 1976 quando accadde, e anche se non possedeva più l’azienda, Bushnell rimase in carica come presidente per poter continuare a lavorare sulla console a cartucce.
L’ATARI VCS venne introdotto sul mercato nel settembre del 1977 e non fece sfaceli. Le vendite furono tiepide ma anche i concorrenti non riuscirono a fare di meglio, tanto che in molti si chiesero se i videogiochi, così rapidamente come erano arrivati, altrettanto rapidamente fossero già passati di moda.
Bushnell, però, continuava a credere nella sua visione e anzi, stava già spingendo Warner a finanziare i progetti per lavorare sulla prossima generazione di console. La Warner, dal canto suo, aveva investito più di 100 milioni di dollari per sviluppare il VCS e non aveva alcuna intenzione di lavorare a nuovi prodotti fintantoché i frutti di quello attuale non fossero arrivati. La determinazione di Warner a riposare sugli allori fu solo una delle tante cose che portarono Bushnell ad abbandonare la società. Era il Novembre del 1978 e Space Invaders sarebbe arrivato solo l’anno successivo per capovolgere le sorti del VCS. Bushnell però non c’era più e al suo posto regnava un nuovo sovrano.
Fonti consultate: The Rise and Fall of Atari di Scott Choen, l’internet.