Ray Kassar
L’altro mese parlo con Emiliano Buttarelli e mi dice: « Vorrei fare un podcast cazzone per celebrare la storia di Atari, però fatto in maniera che lo capisca anche un ubriaco e ci si possa divertire facendo le congetture what if ».
« Vedi tu il caso, boss », gli dico, « noi siamo mesi che ci dilettiamo con i what if di Atari. Adesso, ad esempio, io sono qui ospite di Nolan Bushnell che bevo un mojito e sto discutendo sulla possibilità di realizzare una console sequel del Jaguar, la chiameremo PlayFava. Lui vuole la retrocompatibilità con i titoli a cartuccia, secondo me invece è meglio metterci un’interfaccia neurale. Che ne dici? Lo facciamo questo podcast su Atari? »
Ed eccoci qua, col podcast sulla storia di Atari, o meglio, sui suoi tre più significativi presidenti (io quello delle sigarette neanche lo considero) Bushnell-Kassar-Tramiel. Adesso è il turno dell’occhialuto piantagrane che ribaltò l’azienda come un calzino e la fece vivere il suo momento più splendente. Quello che molti non sapevano era che nell’inizio era già compresa la fine.
Il natale del 1978 fu freddo per Atari, molto freddo. Probabilmente a quel freddo contribuì anche l’arrivo di Ray Kassar, che dall’alto della sua esperienza come vice presidente della Burlington Industries ( sì, avete intuito bene. QUELLA Burlington famosa qui per i calzini dei paninari), entrò in azienda.
Ray Kassar non sapeva nulla di videogiochi e computer, ma ne sapeva qualcosa di strutture e bilanci societari. Arrivò a Sunnyvale che indossava abiti su misura in tre pezzi, camicie bianche e gemelli. La cravatta aveva il nodo perfetto e portava sempre occhiali scuri alla Henry Kissinger. In cinque anni di presidenza non si prese mai una vacanza, lavorava anche nei fine settimana, ed era in ufficio alle 7,30 per lasciarlo solo dopo le 18.
Tanto per farvi capire il contrasto con la gestione precedente: Nolan Bushnell spuntava in ufficio non prima del pomeriggio vestito come se fosse appena uscito da un campo da tennis dove, infatti, se non era già stato, sarebbe sicuramente andato.

La divisione consumer di Atari in quel momento è in rosso; con le vendite in tiepida ripresa, è vero, ma con vagonate di console VCS ancora nei magazzini, invendute.
La prima cosa che fa Ray Kassar è quella di tagliare delle teste tra gli ingegneri della Ricerca & Sviluppo e aggiungerne di nuove nel reparto marketing. Da buon venditore proprio non riesce a capire perché si debba continuare a spendere soldi per creare nuovi prodotti quando Atari non riusce a liberarsi di quelli che ha già.
Riduce la manodopera nella produzione, gli stipendi nella programmazione, e, contemporaneamente, lancia Atari nello sfavillante mondo della pubblicità intensiva. «Marketing» diviene la nuova parola d’ordine per tutti.
Nei primi mesi del 1979, l’azienda subisce una feroce razionalizzazione. Viene posto un termine definitivo alle “sessioni strategiche” a suon di birra e canne che tanto avevano caratterizzato la precedente gestione Bushnell. La sicurezza negli uffici viene rafforzata e improvvisamente gli ingegneri dallo spirito libero di un’azienda hippy si ritrovano ad aver bisogno di un badge di identificazione per spostarsi da un piano all’altro. Anche i nomi dei programmatori diventano top-secret. La ragione ufficiale di tanta segretezza sembra essere quella di scoraggiare le gelosie tra colleghi, ma in realtà è per impedire alla concorrenza di identificare e “rubare” i cervelli migliori.
Dopo l’arrivo di Ray Kassar in Atari diventa più facile stendere un sacco a pelo all’ingresso della Casa Bianca piuttosto che raggiungere la caffetteria dei dipendenti. Un ex responsabile dei servizi segreti di Nixon viene nominato direttore della sicurezza interna e tutto a un tratto i dipendenti devono presentarsi al lavoro alle 8 in punto, rispettare un codice di abbigliamento, mostrare cartellini, e tenere promemoria aziendali. È la fine di un’epoca. Tutte quelle categorie che erano state coccolate sotto la gestione Bushnell si ritrovano ad essere considerate alla stregua di tutti gli altri: dei semplici numeri su un cartellino.
Ma quando in molti ormai dirigono verso la porta, il totalmente inaspettato accadde: il mondo scopre i videogiochi, e le vendite per il 1979 si impennano del 300 per cento, il tutto grazie a un unico, singolo videogioco: SPACE INVADERS.
Nei primi mesi del 1979, la dirigenza Atari, sotto esplicita richiesta di Manny Gerard, ha l’idea folgorante di acquistare la licenza di Space Invaders, un gioco arcade prodotto dalla giapponese Taito, così popolare in patria da scatenare una mitologia intera riguardo alla penuria di spiccioli e la necessità per la zecca nazionale di triplicare la produzione di monete da 100 yen.
Proprio come aveva fatto in Giappone, Space Invaders diventa il gioco arcade più popolare negli Stati Uniti, e la relativa cartuccia diventa il gioco più popolare di Atari, la quale, con una sapiente mossa, la vende direttamente allegata alla sua console VCS. Atari impara moltissimo da questa eperienza, e continua il trend licenziando altri arcade di successo negli anni a venire.
Dopo solo un anno, nel 1980, Atari monopolizza il 75% del mercato dei videogiochi casalighi, tutto grazie all’impennata delle vendite del sistema VCS dovuta a Space Invaders.
Il fatturato annuo di Atari passa da 75 milioni di dollari nel 1977, a più di 2 miliardi nel 1981, facendone l’azienda in più rapida crescita nella storia degli Stati Uniti, ma, soprattutto, fecendone l’azienda che ha trasformato i videogiochi da un semplice regalo natalizio a una voce di vendita per tutto l’anno. Tutto questo, però, non sarebbe durato a lungo.
Mentre Atari guadagna milioni, la Warner sottopaga i programmatori, non condivide con loro i profitti, e non gli permette neanche di rivendicare pubblicamente la paternità dei giochi. In pratica nessuno, al di fuori della società, sa chi sia il programmatore del proprio videogioco preferito; Warner ha paura che se l’informazione diventasse di dominio pubblico i programmatori riceverebbero offerte più allettanti da altre società concorrenti.
È così che un gruppo dei migliori programmatori di Atari (Miller, Crane, Whitehead, e Kaplan) rivendica i propri diritti nell’ufficio di Kassar, ma quest’ultimo, gli nega qualsiasi riconoscimento e anzi, ribadisce il loro ruolo di bassi subordinati. Per tutta risposta, il gruppo da le dimissioni per formare la propria azienda di videogiochi chiamandola Activision, la quale inizia a vendere videogiochi compatibili con il VCS in diretta concorrenza con i titoli Atari. La morale di questa storia è che Activision sferrerà due durissimi colpi ad Atari, e non solo per la maggiore qualità dei propri videogiochi.
Il primo colpo lo assesta fecendo saltare l’intera strategia di marketing Atari basata sul vendere la console VCS al prezzo più economico possibile (199$) per poi trarre enormi profitti dalla vendita delle costose cartucce. Ora che i migliori giochi sono di Activision, la maggior parte dei profitti vanno dirattemente ad essa bypassando Sunnyvale. Per cercare di bloccare i suoi videogiochi, Atari cita in giudizio Activision più volte ma senza successo, e Activision continua a sfornare hit dopo hit. Alla fine, nel 1982, Activision domina il mercato delle cartucce sostituendo Atari come azienda in più rapida crescita negli Stati Uniti.
Il secondo colpo Activision lo piazza indirettamente quando, alla luce del suo spettacolare successo, incoraggia altri programmatori Atari a fuoriuscire formando le proprie società di videogiochi (vedi IMAGIC), e spinge decine di altre aziende software a buttarsi nel lucroso mercato dei giochi per VCS. Molte di queste aziende sono improvvisate e i loro giochi terribili, di conseguenza falliscono subito, ma la loro uscita dal mercato non fa altro che peggiorare le cose in quanto, cessando l’attività, le loro pessime cartucce vengono liquidate sul mercato a prezzi minimi (9,99$). Così, se la gente voleva buoni giochi, li acquistava da Activision. Se voleva giochi a basso costo, li pescava dal cestone dello scontato del Kmart. La morale di tutta questa storia è che sempre meno persone acquistano giochi originali Atari, e quando i consumatori si rendono conto che tutti quei videogiochi a buon mercato sono deludenti, accusano immancabilmente Atari.
Tutto questo ci porta al primo WHAT IF:
Se Ray Kassar non fosse stato quel braccio nel sedere che era, e avesse accolto le richieste dei programmatori Atari concedendogli aumenti e diritto di essere rockstar, cosa sarebbe successo? Forse Activision non sarebbe mai nata? Forse, di conseguenza, il mercato non sarebbe stato saturato dai brutti giochi dei loro emuli? Forse Il crash dei videogiochi americano non si sarebbe mai verificato? Lo scoprirete solo ascoltado il podcast (ah,ah,ah!)
Nel frattempo, proprio come Nolan Bushnell aveva previsto, nel corso degli anni nuove console gioco come Intellivision di Mattel e ColecoVision di Coleco entrano sul mercato e cominciano ad erodere la quota di Atari. Questi nuovi sistemi di gioco hanno grafica migliore e offrono animazioni e suono molto più vicini alle loro controparti arcade; in ogni caso sono di gran lunga superiori al VCS. Oltre al danno arrecato della loro superiorità tecnica, si aggiungerà anche la beffa del software scippato; sia ColecoVision che Intellivision offrono ai loro clienti degli speciali adattatori che li rendono compatibili con l’intera libreria giochi del VCS. Questo significava che se i consumatori volevano abbandonare la nave di Atari, lo potevano fare portandosi dietro tutti i loro vecchi giochi.

Ma ciò che veramente affossa Atari, nell’anno domini 1982, è la conversione casalinga di Pac-Man e la console 5200. Nel mese di aprile di quell’anno, Atari rilascia quella che probabilmente è la conversione più attesa nella storia dei videogiochi domestici: Pac-Man. In quel momento ci sono circa 10 milioni di sistemi VCS già presenti sul mercato, ma Atari sceglie di produrre 12 milioni di cartucce, partendo dal presupposto che nuovi consumatori avrebbero comprato appositamente il VCS solo per giocare a Pac-Man. Grave errore. Il Pac-man di Atari non sopravvive alla sua massiccia campagna pubblicitaria. Sviluppato in fretta e furia fa Todd Frye, la conversione risulta essere pessima, a distanze siderali dall’originale arcade, e Atari finisce per venderne “solo” 7 milioni di copie contro le 12 prodotte.
Altro grave errore è la commercializzazione del successore del VCS, l’Atari 5200, che invece si dimostrerà essere un home computer Atari 400 parzialmente modificato e riconfezionato. Rispetto al VCS la nuova macchina è molto più veloce, certo, con maggiore memoria e grafica migliorata. Ma tutti questi vantaggi sfumano quando il 5200 risulta essere INCOMPATIBILE con tutto il parco giochi sviluppato per la console precedente. Il successore del VCS ha quindi poco a che fare con il VCS stesso e i suoi giochi. La gente lo acquista per potere giocare ai videogiochi ma proprio di videogiochi ne ha ben pochi. Quando Coleco e Mattel rendono le loro console compatibili con le cartucce Atari, non esiste più un motivo vincolante per acquistare un 5200 piuttosto che un Colecovision o un Intellivision.

Per concludere l’anno terribile, il Natale 1982 vede il palesarsi del più grande EPIC FAIL della storia dei videogiochi. Il suo nome è E.T., l’Extra-Terrestre. Sotto pressione del presidente di Warner, Steve Ross, Atari paga a Steven Spielberg una royalty di ben 25 milioni di dollari per assicurarsi il diritto di produrre la trasposizione videoludica del suo film, poi ha l’ardire di dedicare solo 5 settimane alla lavorazione del gioco per riuscire a commercializzarlo in tempo per Natale. Oltre a questo, si producono quattro milioni e mezzo di cartucce, con la convinzione che i consumatori avrebbero acquistato il gioco solo per soddisfare la loro euforia per il film. Beh, non lo fecero. E.T. si dimostra uno dei peggiori prodotti mai commercializzati da Atari, e il suo risultato è forse peggiore di quello della conversione di Pac-Man. Moltissime cartucce vengono restituite al produttore da giocatori e rivenditori delusi.
Sempre nello stesso mese di dicembre i nodi vengono al pettine con la pubblicazione dei bilanci societari e la rendicontazione di un buco di circa mezzo miliardo di dollari. La nave sta decisamente affondando e, con una mossa poco lungimirante, Ray Kassar decide di vendere una quota delle sue azioni Atari giusto 23 minuti prima che i bilanci vengano pubblicati a Wall Street. Per la commissione di vigilanza non ci sono dubbi: è insider trading. Come se di colpo mille luci si fossero accese sul CEO della società, Ray Kassar, preso forse dal panico, rilascia dichiarazioni compromettenti a mezzo stampa dove, praticamente, indica il presidente di Warner, Steve Ross, come il principale responsabile di tutte le cose andate storte in Atari fino a quel momento.
È, ovviamente, un suicidio professionale, e lo stesso presidente Ross lo costringe a dimettersi nel Luglio 1983.
Termina così malamente il regno di Ray Kassar. Tra accuse infamanti e voli di stracci bagnati. Più avanti El Ray verrà assolto dalle accuse di insider trading non tanto perché non le avesse commesse, quanto perché l’importo in ballo era obiettivamente minuscolo rispetto a quello che il CEO di una grande compagnia come Atari avrebbe potuto vendere: solamente 5000 azioni. Il che suona un po’ come se un ladro venisse assolto perché ha rubato solo una mela nel caveau di una banca.
Il nuovo re all’orizzonte sarà solo un timido prestanome dalla permanenza molto breve, ma ne parleremo la prossima volta.

Fonti consultate: The Rise and Fall of Atari di Scott Choen, l’internet.
https://www.pressreader.com/italy/game-pro/20221122/281775633162145
https://en.wikipedia.org/wiki/Ray_Kassar
https://thehistoryofhowweplay.wordpress.com/2019/01/06/2018-the-losses/