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Se adoriamo le shuriken, una ragione ci sarà : THE LAST NINJA

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Ho chiesto ai membri del gruppo telegram quale fossero i giochi più iconici che si ricordassero e al primo posto è balzato The Last Ninja, uno dei videogiochi di maggior successo mai pubblicati per il Commodore 64 e, cosa più importante, uno di quei videogiochi ad avere un seguito di fan hardcore che ne canta ancora le lodi nei gruppi telegram tutt’oggi, no?!
Ma questa che sto per raccontare non è la storia dell’intera saga di The Last Ninja e neanche quella dei molteplici tentativi falliti di far uscire un quarto capitolo, è la storia della prima grande superstar ninja del videogioco che ti guarda male già dalla copertina della scatola, quindi unisciti a me mentre ci caliamo in profondità nel pozzo della memoria.
Bomba di fumo e scompaio nella notte. Sigla.

 

La nostra storia inizia alla fine degli anni ’70, quando un giovane Mark Cale può essere trovato a casa sua a giocare con un Atari 2600, e nelle sale giochi a giocare a Space Invaders.
Mark è un così grande fan dei giochi arcade che all’età di 14 anni è un vero è proprio recordboy, ma, ahimè, il tempo passa e Mark cresce diventando un ragazzone scevro di sogni. I videogiochi passano in secondo piano e il suo amore per la fotografia diviene il punto focale dei suoi primi giorni di carriera, una carriera, va detto, che parte abbastanza bene. Infatti, diventa assistente di due bravissimi fotografi, John Rawlings e Norman Parkinson. Sfortunatamente per Mark, dopo una fedele militanza, il consiglio che gli arriva da uno dei suoi mentori, John Rawlings, non è proprio quello che si aspetta di sentire: « Sei arrivato troppo tardi Mark, i soldi nel settore sono finiti. Dovevi esserci prima. ».
Fortunatamente questa dolorosa ma veritiera rivelazione porta con sé un risvolto positivo, poiché il grande fotografo vede che Mark ha un vivo interesse per i videogiochi gli suggerisce di seguire quella strada, che poi è esattamente quello che Mark fa.
Al tempo Atari UK collabora con un distributore, Ingersoll Electronics, che per caso ha la sua sede centrale ad Alperton, molto vicino a dove vive Mark, nel nord di Londra. Così, ecco che Mark Cale si reca nei loro uffici e gli vende l’idea che avrebbe potuto scattare degli screenshot professionali, delle pose indimenticabili, delle foto sicuramente di alta qualità dei loro computer e accessori. Da lì, conoscendo un po’ di gente all’interno, prende confidenza con il management, talmente confidenza che arrivare addirittura a manifestare lamentele sui giochi per il 2600 e l’800 direttamente ai dirigenti.

Ok, siamo tutti d’accordo. Questo Mark Cale ha un vero talento nel fare arrabbiare i suoi capi, mi sembra chiaro, ma in questo caso il problema che ha Mark con Atari non riguarda il suo stile fotografico o il lato marketing dell’azienda. Il suo problema è con i videogiochi! Essendo lui un appassionato giocatore arcade, come molti è un grande fan di Asteroids, il gioco è così popolare che ha spodestato Space Invaders dal trono di Re degli arcade, e quando Atari rilascia Asteroids per il suo VCS ( un gioco che, ricordo a tutti, finisce per diventare uno dei giochi più venduti per il sistema ) Mark fa sapere CHIARAMENTE alla dirigenza Atari di non essere un fan di questo porting, che lo dovevano fare diversamente, che non è all’altezza, ed è in quel frangente che Atari gli suggerisce caldamente di andarsene (affanculo) e creare il suo studio di giochi. « Senti ciccio, ma perché non te ne vai e fondi la tua società di videogiochi? ». E anche in questo caso, come già era accaduto per la fotografia prima, è esattamente quello che Mark fa.

Dopo aver parlato con due amici, Emerson Best e Michael Koo, per incominciare insieme l’impresa, succede che Michael stia frequentando un corso di informatica al college chiamato System Studies e poiché loro alla fine sono in tre a voler fare videogiochi, ecco che la società viene chiamata System 3.
Tuttavia l’impresa non parte con il piede giusto. Michael Koo scompare quasi subito, manifestando maggior interesse per la prosecuzione dei suoi studi piuttosto che per l’imprenditoria videoludica, mentre la madre di Mark, dopo aver saputo che suo figlio si è fatto sbattere fuori da Atari, è furiosa e lo butta fuori di casa, con il risultato che i primi giorni di System 3 vengono gestiti da un vecchio BNB vicino a Wembley.
Per il rotto della cuffia, riescono a finire il loro primo gioco. Si chiama Colony 7 con illustrazioni della copertina realizzate dal fratello di Mark, ovviamente ispirate dal suo amore per Space Invaders.


Colony 7 esordisce facendo il suo lavoro. Non è un brutto gioco di per sé, ma un gioco come tanti altri che vengono rilasciati sul mercato in quel periodo. Gli amanti dei giochi spaziali lo apprezzano ma non si esaltano, il che lo porta subito alla quasi totale dimenticanza. È piuttosto difficile da padroneggiare e per i giocatori che amano la sfida è l’ideale, ma per tutti gli altri giocatori ( e sono la maggioranza )…beh, il discorso è diverso.
Per una giovanissima software house come System 3  va comunque bene. Colony 7 fa quello che deve fare, non vende sfaceli, vende solo abbastanza e permette all’azienda di continuare a lavorare al gioco successivo, e così facendo perfezionarsi, mettere a fuoco gli obiettivi, non tanto su Atari 8 Bit quanto sul Commodore 64.

 

Intanto si avvicina il 1985 e arriva il grande successo di International Karate che diventa uno dei primi videogiochi europei a vincere il premio CES Showcase ed è il primo titolo per computer domestico a raggiungere il primo posto nella classifica Billboard degli Stati Uniti. Dopo il trionfo americano è evidente a tutti che System 3 sia entrata nella Champions League degli sviluppatori, e questo si capisce anche dal fatto che ogni singolo editore internazionale che li aveva rifiutati in precedenza si sta precipitando da loro per pubblicargli qualsiasi cosa abbiano, non importa cosa sia, tutti vogliono un pezzo di System 3 da aggiungere in catalogo. Una di queste aziende è, appunto, Activision, rinomata negli USA e che ha il diritto di prelazione sul gioco International Karate per il territorio americano. Dopo aver spedito per valutazione una copia del gioco al responsabile dei giochi sportivi dell’azienda, incredibilmente, International Karate viene rifiutato affermando che sia solo spazzatura europea e che non funzionerebbe mai negli Stati Uniti.
Greg Fishback, al tempo presidente di Activision International, successivamente si pente amaramente di quella decisione presa da qualche responsabile poco lungimirante. Scioccato dal fatto che il suo team non avesse notato l’estrema qualità del titolo, supplica personalmente Mark Cale e il suo team di creare il loro prossimo gioco apposta per loro. Mark accetta, ma quale sarebbe stato quel prossimo gioco?

 

Mark si ispira al super iconico ADVENTURE per Atari 2600 e anche a BRUCE LEE di DataSoft, ma ciò che crea non è solo Bruce Lee e Adventure. È tutto. Al cinema, Chuck Norris e tutte le altre star d’azione fanno film di arti marziali. Sempre più personaggi padroneggiano il kung-fu per lanciarsi in furiosi combattimenti. Negli anni ’80 ci sono i Teenage Mutant Ninja Turtles nei fumetti. In pratica le arti marziali diventano un fenomeno popolare così come i videogiochi platform. Così, Mark lancia l’idea di un gioco d’azione e avventura ambientato in Giappone. Nella sua mente sarebbe stata l’evoluzione naturale dei titoli appena menzionati. È un’idea fantastica, tuttavia non è esattamente facile da realizzare su Commodore 64 e questo lo sanno tutti. La scarsa convinzione è talmente condivisa che il suo team si divide a metà, da una parte stanno quelli che fanno essenzialmente quello che gli viene chiesto e tentano di creare un gioco pseudo 3D per un home computer ormai invecchiato, dall’altra restano quelli che si rifiutano di perderci anche un solo minuto sopra. Infatti, alcuni arrivano perfino a lasciare System 3 convinti che una cosa del genere proprio non si possa fare.

È un periodo difficile e strano per l’azienda. Hanno appena realizzato il loro gioco più famoso fino a quel momento e ora sono costretti a creare un altro videogioco che molti ritengono semplicemente impossibile da realizzare.
Come accennato prima, Adventure di Atari è la principale forza trainante, un vecchio gioco che ha preso le avventure testuali super nerd dell’epoca e ha dato loro una veste grafica. Certo, era limitato e tutto il resto, ma ciò non toglie che avesse fascino. Sono passati ormai 5 anni dall’uscita di quel gioco e invece di riempire il suo mondo con draghi, cavalieri, castelli e qualsiasi altra cosa piaccia agli uomini barbuti con i dadi D20, per il nuovo gioco di System 3 si preferisce puntare sulla nuova mania del momento. Una mania che ha iniziato a diffondersi in tutto il mondo dalla fine degli anni ’70: i ninja. Perché negli anni ’80 i ninja sono ovunque, spuntano fuori nei film di James Bond, nei film orientali d’importazione, nei libri bestseller, cavolo, si cominciano pure a vedere nelle sale giochi! Per dirla senza mezzi termini, i ninja sono tanto importanti negli anni ’80 quanto lo sono gli omini di marshmallow giganti, le faccine sorridenti gialle sugli adesivi e Ritorno Al Futuro.
I Ninja diventano quindi la scelta ovvia per il prossimo gioco di System 3 mentre il team continua a cercare di capire come realizzarli in formato videogioco.

 

Mark stesso insieme a Tim Best si mette al lavoro sullo storyboard del gioco, un’elaborazione questa a cui, all’epoca, pochi videogiochi per computer domestici dedicavano così tanto tempo e impegno, infatti il duo va ben oltre una semplice ricerca sulla storia giapponese e visita musei per trovare quante più informazioni possibili sul periodo, cercando di capire il modo più efficace per replicare quello stile nelle immagini di sfondo nel gioco stesso, poi Andromeda entra in scena.
Senza dubbio Andromeda software è più nota nel settore retrò per essere la società che introdusse Tetris nel mondo occidentale dopo che Robert Stein scoprì il gioco su un PC universitario e alla fine vendette i diritti (immaginari) a Mirrorsoft. È una storia incredibilmente complicata che viene raccontata in modo brillante anche se un po’ esagerato dal sottoscritto nella puntata 92, e se proprio volete la versione super-digeribile c’è sempre il film su Apple+.

La società di produzione ungherese con sede a Londra si assunse il compito di creare “The Last Ninja” e all’inizio sembrava che tutte quelle persone che avevano lasciato Systema 3 avessero ragione. Riuscirono a far funzionare il gioco ma lo fecero a discapito del gioco stesso.
Istvan Bodnari e tutto il suo team, incaricati da Andromeda di sviluppare il gioco, hanno l’idea geniale di gestire lo schermo suddividendolo in blocchi o elementi che potevi ritagliare e replicare per poi disegnare figure più complesse in altre schermate in alta risoluzione. Sostanzialmente è un trucco efficace per ottenere una grafica fantastica nonostante avessero a disposizione una risicata memoria da 64kb.
L’unico problema per loro è che non riescono a sviluppare il gioco in qualcosa di giocabile; le schermate si caricano con estrema lentazza e l’animazione della corsa del ninja è semplicemente inesistente con il risultato che quella che si sposta sullo schermo è un’immagine statica che non è in grado di fare molto.
Certo, quello che fanno gli ungheresi è ammirevole. Prendono l’idea di gioco di Mark Cale e la affrontano da un punto di vista tecnico creando un motore di gioco da zero. Il vero problema ( e loro non se ne rendono conto ) è che stanno usando il linguaggio di programmazione forth che li limita a tal punto da bloccare l’intero processo di sviluppo.

Inverno 1985/86, Budapest. Mark Cale con Istvan Bodnar, il quale appare in primo piano. La foto è stata scattata da Hugh Riley, il grafico dietro The Last Ninja per C64, che ci ha appiccicato sopra una sua fototessera dell’epoca.

Di conseguenza, preso atto dell’incapacità di procedere da parte di Andromeda, System 3 non ha altra scelta che rescindere il contratto e cercare di risolvere i problemi per conto proprio, ed è allora che entra in gioco John Twiddy.
A Mark viene consigliato Twiddy da Andrew Wright di Activision. Wright sa che John non sta lavorando, è bloccato in attesa che gli arrivi la grafica per andare avanti con il porting di Ikari Warriors di Elite. Così Twiddy accetta e si trasferisce in System 3 a Londra, trascorrendo le successive settimane cercando di prendere ciò che gli ungheresi avevano iniziato e trasformarlo da zero in un nuovo prototipo funzionante.
John Twiddy crea l’editor dei livelli che permetterà ai programmatori di prendere e spostare facilmente le immagini di sfondo per creare ogni scena proposta da Mark e Hugh Riley. Gli storyboard già fatti non solo faranno risparmiare tempo ma faranno sì che più schermate nel gioco possano essere replicate poiché il reiterato utilizzo degli stessi elementi di sfondo permette di ingannare il c64 facendogli credere che ce ne siano di meno di quanti ce ne fossero in realtà.
Nel corso degli anni ci sono state parecchie controversie su chi ha fatto cosa in The Last Ninja, quello che è certo è che gli ungheresi non sono riusciti a finire il lavoro e anche se nessuna parte del loro codice alla fine arriva nella versione finale del gioco, se non fosse stato per la loro prima versione, John Twiddy non sarebbe stato in grado di creare la versione più recente, quindi, per quanto banale possa sembrare quello che sto per dire: il gioco non sarebbe esistito senza il coinvolgimento di tutti.

Mev Dinc, Mark Cale (vestito da Ninja), Hugh Riley e John Twiddy

Finalmente pubblicato nel 1987, The Last Ninja vede un eroe vestito da ninja avventurarsi nel suo mondo senza dare tante spiegazioni su dove andare e cosa fare. A differenza di altri giochi ninja più standardizzati che stanno inondando il mercato e che 9 volte su 10 sono a scorrimento verticale oppure orizzontale, The Last Ninja è a scorrimento isometrico e vuole che il giocatore esplori l’ambiente, e più lo fa, più viene ricompensato. Mentre salti da una schermata all’altra ti trovavi faccia a faccia con i nemici e, per tutto il gioco, il combattimento è all’ordine del giorno. All’inizio, la curva di apprendimento è particolarmente difficile ma quando non hai altra scelta che combattere per continuare ad andare avanti, alla fine escogiti i modi migliori per abbattere i nemici e procedere in quel mondo isometrico creato splendidamente.
Tentativi ed errori sono la chiave in un gioco come The Last Ninja, e ovviamente, con il fatto che in un mercato in cui la maggior parte dei consumatori avrebbe posseduto un joystick diverso, prodotto da una ditta diversa, e con una diversa ergonomia, la difficoltà di giocare a un gioco isometrico che richiede una precisione millimetrica varia davvero da giocatore a giocatore, detto questo non si può dare la colpa della sua difficoltà a qualsiasi controller i genitori abbiano infilato sotto l’albero di Natale poiché persino gli stessi Mark Cale e John Twiddy ammettono di aver reso molte sezioni più difficili del necessario. Secondo John, lui stesso non voleva sembrasse che il ninja non fosse direttamente sopra la piattaforma e quindi quando Mark lo supplicava di rendere queste sezioni più facili, John si impuntava ancora di più con la precisione fino all’ultimo pixel e da qui è derivato il suo soprannome aziendale di “Pixel Perfect John”.
A parte le iniziali difficoltà però, quando impari a combattere, schivare i tuoi nemici, a saltare con precisione, The Last Ninja può regalare soddisfazioni. Pochi giochi sono migliori nel restituire il clima dell’epoca, quando si trattava di capire come superare un drago leggendo il piccolo suggerimento trovato nel manuale, oppure si esplorava i paesaggi in continua evoluzione superando ciascuna delle numerose sfide che capitavano.

 

The Last Ninja è un videogioco molto gratificante per le persone a cui piacciono questo tipo di cose, questo tipo di sfide, e si scopre che in parecchi lo hanno apprezzato proprio per questo poiché è diventato uno dei videogiochi di maggior successo mai pubblicati per Commodore 64, vendendo oltre 7 milioni di copie e raccogliendo numerosi premi lungo la sua strada.
Ovviamente è stato fatto il porting su molti altri sistemi e si è diffuso ulteriormente oltre il bacino della grande C. È un gioco che ancora oggi molti tengono in grande considerazione come uno dei migliori e più importanti della sua epoca e ciò è dovuto in gran parte a un’incredibile colonna sonora degli Dei della musica dei videogiochi, Ben Daglish e Anthony Le, e quando metti insieme tutti questi sforzi e aggiungi una semplice ma iconica copertina, inizi a capire perché il gioco è andato bene come ha fatto.

FONTI:
Retrogamer 216 – 239
https://www.timeextension.com/features/interview-we-were-world-leaders-the-history-of-system-3-and-the-last-ninja
https://youtu.be/dOcqRGC-f7c?si=7Yn8QpMxS0uaipTP


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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