DEFENDER ed Eugene Jarvis

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Negli anni ottanta ho passato tanto tempo in sala giochi, sapete? Poi quell’epoca passò, e io e i videogiochi dovemmo separarci. Non fu colpa di nessuno, ero io che non ricambiavo più. Fu un divorzio che scaturì senza rimpianti dopo una lunghissima separazione in casa.
Alla fine degli anni novanta, già con un piede dentro ai duemila, mi torna la voglia di giocare ma la china che sta prendendo la mia vita non mi piace, in quel momento, a furia di vivere qua e là per il mondo e dopo vari traslochi, ho pochissimi amici che giocano ai videogiochi, e di questi pochi chi lo fa gioca comunque a roba che non mi piace. Sono tempi duri, non è come oggi che tutti si affannano a dire che videogiocano a qualcosa anche se guardano solo i gameplay su Youtube. Trovare amici videogiocatori è difficile, trovare amici videogiocatori che giocano a videogiochi BELLI, un’utopia. Su quest’argomento rimuginavo in scooter giusto l’altro giorno, facendomi un sacco di paranoie che iniziavano e finivano nella mia testa. Poi, così, di colpo, mi è ritornato in mente DEFENDER.

 

La Williams Electronics si era sempre guadagnata la pagnotta coi flipper, e quando decise che era giunto il momento di entrare nel campo dei videogiochi diede l’incarico a un brillante designer e programmatore, Eugene Jarvis, di confezionare il suo primo gioco. In quel momento, Jarvis è solo un efficiente professionista e in vita sua si è sempre occupato di flipper. Anche durante la sua precedente esperienza in Atari ha sempre messo mano su tutta quella tipologia di prodotti, da The Atarians a Superman. Per lui i videogiochi sono un’esperienza del tutto nuova ma non si perde d’animo. Messo a capo di un ristretto team di sviluppo, nel giro di un annetto se ne viene fuori con Defender: un gioco sparatutto a scorrimento orizzontale che così non se n’erano mai visti prima, e inaugura una nuova tipologia di videogiochi, quelli sparatutto a scorrimento orizzontale, appunto (mi tocca spiegarvi tutto).

 

Riconoscere il tocco del maestro

Ma procediamo con ordine: siamo nel 1979, e la crescente popolarità dei giochi a gettone spinge la Williams Electronics a spostare il suo baricentro dai flipper ai videogiochi arcade. Certo, l’azienda ha già provato un’incursione in quel campo con un banale clone di Pong, ma niente di serio, quindi, guardandosi in casa, vede un suo fresco dipendente, Eugene Jarvis, che durante tutta la sua carriera professionale ha fatto molto bene con i flipper. Perché non provare a dargli fiducia anche con i videogiochi? Mi sfugge ancora la logica di questo processo decisionale ma ciò che conta è che la barba di Eugene viene messa a capo della rivoluzione. Ed era una barba molto arrogante.

Jarvis si faceva già i selfie prima che fossero inventati i selfie

 

A capo di un piccolo team e senza l’imposizione di alcun vincolo creativo, Jarvis procede con un metodo consolidato dall’intera umanità durante secoli e secoli di ricerca scientifica: per tentativi.
Inizialmente si uniforma al trend e va sul sicuro cercando di mettere a punto un’ennesima variazione a colori di Space Invaders, per certi versi simile all’originale ma con meccaniche di gioco diverse. Il tentativo dura qualche settimana prima che il team si accorga che il gioco può anche essere bello a vedersi, sì, ma non è proprio divertente.
Tenta, quindi, un ripiego e prova a perfezionare un altro clone di un altro grande smash hit del momento: Asteroids. Ma anche in questo caso l’esperimento naufraga a causa della difficoltà di riprodurre l’impatto visivo dell’originale su un monitor convenzionale con grafica raster ( ricordo che l’originale è grafica a vettori su un monitor speciale), senza contare poi che, anche in questo caso, il gioco non diverte neanche per il razzo.

Dopo questo uno-due di FAIL videoludici che fanno perdere al team di sviluppo un buon 3-4 mesi di lavoro, si decide finalmente di riunirsi tutti insieme intorno a un tavolo e capire cosa diavolo fare. Ci piace Space Invaders? Sì! Ci piace Asteroids? Sì! E allora perché non fonderli in un unico nuovo gioco che possa valorizzare al massimo i punti di forza di entrambi, eh?! anzi, potemmo addirittura migliorarli! Certo, dai! Si può fare!
Un grande goal all’incrocio dei pali di Asteroids è il suo effetto avvolgente, il fatto che l’astronave esca da un lato dello schermo per rientrare da quello opposto donando al giocatore una sensazione di continuità che azzera qualsiasi tempo morto. Bene. Il nuovo gioco di Jarvis trasmetterá la stessa sensazione, anche meglio, il campo di gioco sarà molto più vasto e, soprattutto, ininterrotto.
Space Invaders coinvolge i giocatori per il suo estenuante tiro al bersaglio? Bene. Anche il nuovo gioco di Jarvis avrà il tiro al bersaglio e anzi, non sarà statico come in Space Invaders. Il cannoncino ruoterà di 90 gradi e posto in movimento da sinistra a destra su un interminabile campo da tiro.
Ché poi, ripensandoci, perché limitare il movimento del cannoncino solo da sinistra verso destra? Facciamolo muovere anche su e giù, in tutte le direzioni, no?! E gli asteroidi? Sono poi così necessari degli statici asteroidi? No, via. Molto meglio sostituirli con delle astronavi più letali e con maggior potenziale offensiva.
Così nasce DEFENDER, una fusione enhanced di 2 videogiochi preesistenti che risulta essere molto superiore alla somma dei singoli addendi.

 

Per quei tempi, il gameplay di Defender è rivoluzionario. Alla fine il cannoncino di Space Invaders viene sostituito da una piccola astronave che si può spostare orizzontalmente sopra la superficie di un pianeta senza nome. Il giocatore controlla la navicella, e l’obiettivo è quello di proteggere dei piccoli omini disseminati per il paesaggio distruggendo degli invasori alieni che li vogliono rapire. Una volta rapiti poi, gli alieni ci si fondono insieme e ritornano sotto forma di astronave mutante per attaccare la navicella del giocatore.
Scopo del gioco: distruggere tutte le navicelle aliene per passare al livello successivo. Se gli alieni riuscono a rapire tutti gli omini, il pianeta esplode lasciando la nostra astronave dispersa in uno spazio popolato solo e unicamente di mutanti incazzatissimi. Quando la situazione si fa disperata c’è la smart bomb. BUM! Semplice, no?

Si arriva a luglio del 1980 e lo sviluppo del gioco è in ritardissimo, tanto in ritardo che i superiori di Jarvis cominciano a fargli pressione. Il gioco deve essere assolutamente finito per il mese di settembre, fra due mesi, perché proprio a settembre si terrà l’AMOA, ovvero l’Amusement & Music Operators Assamble, una super-fiera dedicata agli operatori delle macchine a gettone parente alla lontanissima del CES e discendente preistorica dell’E3.
Jarvis in quel momento è impantanato nella creazione degli omini che gli alieni devono rapire, e il suo capo, pur di accelerare i lavori, gli suggerisce di toglierli dal gioco. A lui, onestamente, non importano, ma decide di tenerli lo stesso. La pressione è tanta e lo frustra a tal punto che più volte considera l’opportunità di dimettersi.
Inizia settembre e il gioco è ancora incompiuto. quasi ogni programmatore Williams sta prestando il suo aiuto al progetto affinché possa essere consegnato in tempo per l’AMOA e alla fine, picchia a mena,  si porta a casa il risultato per la fine di ottobre. Qualche giorno prima dell’evento.
La sera prima dell’inizio della fiera, i cabinati col gioco sono finalmente pronti e consegnati, tuttavia gli sviluppatori si accorgono di aver dimenticato di creare un attractive mode, ovvero, una sequenza automatizzata che il gioco possa eseguire per attirare il pubblico. Prima della fiera, durante la notte, tutto il team si mette al lavoro e la mattina successiva vengono prodotti degli appositi chip EPROM da installare sulla scheda del cabinato. I chip, però, non funzionano e anzi, adesso l’intero gioco non funziona più. Panico. Sul filo del rasoio, i progettisti si rimettono di nuovo al lavoro per risolvere il problema e finalmente riescono a far girare tutto e presenziare la fiera con successo. Il tutto a due secondi dalla fine della partita.

Venghino siore e siori, venghino

 

Ma come si presenta il cabinato di Defender al tizio qualunque che si ferma ad osservarlo? Sicuramente le side art potevano attirare l’attenzione dei fumettofili Marvel visto lo stile molto Kirbiano, ma per il resto risulta fluido, veloce, e, soprattutto, colorato. Gli sviluppatori avevano stimato che sarebbero stati necessari solo 4 colori per godere a pieno il gioco, ma invece, in quella occasione per fare bella figura viene scelto un hardware che possa visualizzare ogni pixel in 16 colori. A quel tempo è una scelta azzardatissima, così come la risoluzione del monitor da 320 × 256 pixels, deciso miglioramento rispetto allo standard di 256 × 256 in uso sulla maggior parte degli arcade.
Il sistema di controllo del gioco è quello che solleva più perplessità. Utilizza un joystick a due direzioni e ben cinque pulsanti (cinque!). Jarvis in persona lo progetta per emulare sia Space Invaders che Asteroids. Con la mano sinistra il giocatore può manipolare il joystick similmente a Space Invaders, e con la mano destra preme i pulsanti come in Asteroids. Inoltre,il pannello di controllo utilizza un layout grafico simile ad Asteroids, con un tasto per sparare ed uno per accelerare. Jarvis giustifica la scelta sostenendo che i giocatori sono abituati a pannelli di controllo dei vecchi giochi, ed ha paura che creando un design completamente nuovo Defender spaventi gli avventori.
E proprio per la complessità dei suoi controlli, Defender guadagna popolarità lentamente. Alla fine della fiera (letteralmente) il gioco non attira molta attenzione. Più avanti Jarvis ammetterà che, sì, con tutti quei comandi forse Defender si presentava un tantinello complesso e la gente ne rimaneva intimidita. Col tempo, però, viene ben accolto nelle sale giochi, e pian piano diventa il gioco arcade più venduto della Williams Electronics con oltre 55.000 unità piazzate in tutto il mondo. Si stima che dal suo lancio alla dismissione abbia guadagnato oltre 1 miliardo di paperdollari. Addirittura, nel 1981, qualcuno sostiene che abbia incassato più di Pac-Man (credici).
Il fantasmagorico successo di Defender permette a Williams Electronics di ampliarsi, aprire nuove sedi e assumere più dipendenti, ma se prima del successo Jarvis poteva lavorare in completa indipendenza e senza tanti intralci, dopo l’espansione non sarà più così. Per questo motivo, e per un consolidato trend seguito da quasi tutti i programmatori di videogiochi dell’epoca, Eugene Jarvis, insieme al collega Larry DeMar, abbandonano Williams per fondare la loro propria società di sviluppo, la Vid Kidz. Società che rimane comunque in ottimi rapporti con Williams Electronics e che continua a sviluppare per essa videogiochi di successo come il sequel di Defender: Stargate, e Robotron:2084.

 

E adesso, giusto per concludere, un interessante TRIVIA per farvi contenti:

Non ci sarebbe stato alcun gioco chiamato DEFENDER senza una serie televisiva degli anni ’60.
Seppur Jarvis avesse sviluppato il suo gioco ispirandosi a Space Invaders ed Asteroids, lo migliorò spostando l’attenzione dei giocatori sul salvataggio e la difesa dei piccoli umani disseminati nel paesaggio. Istintivamente gli venne in mente un vecchio serial televisivo procedurale degli anni ’60 che seguiva da bambino intitolato THE DEFENDERS (qui da noi intitolata “La parola alla difesa”) nel quale due avvocati si danno un gran da fare per salvare i loro clienti, e visto che gli era piaciuto molto ne prese ispirazione per il nome del gioco.

Il design innovativo di Defender spianò la strada a un’intera generazione di sparatutto a scorrimento, segnò a fondo la golden age dei videogiochi e ancora oggi continua ad ispirare i game designer. Numerosi e svariati riferimenti al gioco sono disseminati ovunque nell’arco di questi 40 anni di cultura pop, si va dalle citazioni nelle canzoni, all’ispirazione per i romanzi, per concludere nella proliferazione di cloni e il merchandising più sfrenato. Se sei un veterano di questo gioco arcade, condividi i tuoi ricordi di Defender segnalando questo podcast a chi lo saprà apprezzare e rendi omaggio ad uno dei videogiochi classici degli anni ’80. Se non ne hai mai sentito parlare prima, sei comunque libero di vergognarti.


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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