ATARI 2600+: comprata e analizzata

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Non sono un ipocrita: mi piace ATARI 2600+.
Si manifesta in questi tempi bui come un inaspettato messia del retrogaming commerciale che ha finalmente capito come rivalutare un intero patrimonio culturale. Una cosa che a voi può sembrare di poco conto, ma a me non sembra per niente scontata.
Per il momeneto ho solo apprezzamenti per Atari 2600+.
Forse lo dico perché ancora non ce l’ho. Certo, la console originale è un’altra cosa, e siamo tutti d’accordo.
Atari 2600 ci aveva portato un’esplosione pirotecniche di creatività nel tentativo di spremere le sue misere risorse all’estremo, e la sua longevità si era estesa per la prima metà all’insegna del motto: “Se la gente lo chiede, noi gliela diamo a badilate”, e per la seconda metà: “Se la gente lo chiede, noi gliela regaliamo”.
Fino al 1983, Atari 2600 era praticamente un film horror: una specie di slasher in cui il protagonista è da solo contro decine di energumeni pazzi e armati di macete che lo vogliono vedere morto, e in qualche modo sopravvive sempre fino all’ultimo frame in cui lo spettatore capisce che è stato tutto solo un sogno. Una trama semplice in sintonia con i suoi tempi, ma che funzionava perché coinvolgeva tutti nella frenesia videoludica dopata dal marketing e dai testimonial di prestigio.
Dopo Atari 2600 sono arrivati tutti gli altri. Diversi cloni dal Giappone sempre più potenti, ma ognuno di loro si basava sull’esperienza vissuta da Atari 2600 e sì, elaborava fantasie videoludiche sempre più sfrenate, colorate, realistiche. Qualcuno si lamentava? Sicuramente no.
Ma Atari 2600+ è la prima retroconsole dai quando il NES Mini è comparso su questa Terra ad aver capito che il videogioco non è fine a sé stesso. Non è tutto lì. Bensì, il videogioco è un’intera cultura, un’intera generazione di macchine e i suoi accessori, un’intera libreria sconfinata ancora a disposizione di chi vuole acquistarla.
Atari 2600+ è la nuova retroconsole ( e forse è riduttivo chiamarla ancora così ) di casa “Atari”, lanciata venerdì 17 novembre e andata a ruba quasi subito.
Atari, o almeno quello che adesso si identifica con quel nome, in questi ultimi anni aveva rilasciato qualcosina qua e là con raro successo e molta delusione dei fan, e poi gli è capitata la cosa migliore che può capitare ad un’azienda in declino: è arrivato un nuovo amministratore delegato giovane e competente. Una cosa che capita una volta ogni 75 anni come il passaggio della cometa di Halley.
È sotto di lui che Atari 2600+ viene realizzata e commercializzata.
Anche la storia di Atari 2600+ è semplice come quella di Atari 2600. Racconta di come sia possibile aver capito tutto del retrogaming. Racconta di come sia importante coinvolgere il giocatore nella storia della macchina con cui sta giocando. Lo fa con giochi semplici e minimali, con sfondi basici e colorati, con mondi fantasiosi ma essenziali, e poi ci mette dentro una quantità modesta di nostalgia disponibile all’acquisto per un costo che non richiede chissà quali sacrifici.
Il risultato è una delle cose più esaltanti degli ultimi anni.
Ho avuto modo di parlarne con Starfox Mulder dei Bit-elloni in persona, senza il minimo dubbio uno dei top retrogamer in circolazione nonché un pozzo infinito di esperienza videoludica, ed è stato molto interessante.
A voi la nostra chiacchierata.


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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