ANIMAL HOUSE – Il bisogno di un’azione assolutamente futile e stupida

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In Italia, all’inizio degli anni ’80, ovunque ci fosse una festa in maschera, Animal House insegnò a tutti a trasformarla in un toga-party, svuotare il bar, ballare buona musica, sfasciare chitarre contro i muri. Tutto questo grazie anche ad Harold Ramis: attore / sceneggiatore / regista comico che non riceverà mai abbastanza lodi e omaggi quanto avrebbe meritato. Oddio. Non che Ramis fosse esattamente un calibro poco apprezzabile, ma quando i tuoi colleghi sono John Belushi, Bill Murray, Dan Akroyd e Chevy Chase, capirete che uno tende ad essere escluso. Tuttavia, vi garantisco che il curriculum comico di Ramis è solido come quello di nessuno mai.
Ramis recitò in alcuni film, come in Stripes – Un Plotone Di Svitati e Ghostbusters, ma era anche un ottimo regista, ad esempio era suo quel capolavoro di Ricomincio Da Capo (Groundhog Day), ed anche un valido scrittore, con tutto quanto aveva prodotto e altro ancora, ma forse il suo fiore all’occhiello come sceneggiatore è diventato anche il film più divertente mai realizzato, National Lampoon’s Animal House, scritto con i colleghi scrittori della rivista National Lampoon, Doug Kenney e Chris Miller. Forse ne dovremmo parlare un attimo insieme prima che ci portino via il bar.

 

La prima volta che mi imbattei in Animal House non sapevo che si intitolasse National Lampoon’s Animal House, ma sicuramente me lo fece vedere il Berlusca su una delle sue emittenti, Italia 1, credo, in un luogo temporale imprecisato tra il 1984 e il poi. A quel tempo non ero tanto sicuro che il termine “film di culto” significassa davvero qualcosa, ma quando i tuoi amici cominciano a recitare ogni singola battuta di un film in ogni occasione, e, addirittura, pochi secondi prima che gli stessi personaggi lo facciano sullo schermo, qualche idea cominci a fartela.
Animal House era dunque un film cult? Era la prima volta che mi rendevo pienamente conto della pesantezza del termine, ma ancora non riuscivo a giustificarla. In fondo vedevo solo un gruppo di persone che ne combinavano di tutti i colori in un film che parlava delle loro esperienze universitarie?! Come faceva ad essere un cult? Sì. In certi momenti era addirittura epico, ma mi venisse un colpo se avevo idea di cosa fossero i party delle confraternite prima di vederli lì, con Otis Day & The Knights che suonavano rendendoli infinitamente più colorati di qualsiasi altra festa avessi potuto vedere nella mia provincia denuclearizzata a sei chilometri di curve dalla vita.
Perché il punto era proprio questo. Rispetto alla mia vita monocromatica, quella dei protagonisti nel campus del fittizio Faber College equivaleva a vedere tutto in Technicolor e CinemaScope. Non c’era nessun omologo italiano a quanto mostrato in Animal House ( e nella miriade dei suoi successori e imitatori). Qui c’era Jerry Calà con i suoi tormentoni milanesissimi e una marea di comici con inflessione regionale a farla da padrone. Ma forse era una buona cosa non avere omologhi visto che quasi tutti i film sui college americani che sono venuti dopo erano, per lo più, un Animal House Redux con pochissima gente di colore e con molto, molto sessismo. L’originale ha sempre rappresentato un modello al quale i cineasti comici erano riluttanti a rinunciare, un modello di riferimento, l’archetipo comportamentale che tutti gli studenti di oggi tentano di abbracciare a loro rischio e pericolo: il binge-drinking, l’abuso di droga, gli scherzi raccapriccianti, ecc.
Sì. È un bene che non ci sia mai stato un equivalente italiano di Animal House, sarebbe stato impossibile da immaginare e probabilmente inguardabile.

 

Animal House, a discapito del fatto di essere diventata la commedia con il più alto incasso mondiale nel 1978 ( adesso è la quinta con ben 514 milioni di paperdollari al botteghino), non ebbe una gestazione per niente regolare, anzi, piuttosto traballante. Nasce come una sceneggiatura del frustrato cofondatore della rivista National Lampoon, Douglas Kenney, che stufo della pressione redazionale e del dover correre dietro alle scadenze mensili, sente la necessità di prendersi una pausa dedicandosi al progetto di un film; e dallo sceneggiatore Harold Ramis, anch’egli alla sua prima esperienza di questo tipo.
I due si ritrovano per collaborare con l’intenzione di presentare agli Studios Hollywoodiani un originale progetto che si dovrebbe intitolare “Laser Orgy Girls”, una commedia sulle esperienze giovanili del serial killer Charles Manson al liceo. Matty Simmons, produttore e dirigente della rivista “National Lampoon”, trova la cosa un filino sconveniente e consiglia (perlomeno) di spostare la storia al college, mentre Chris Miller, che aveva già scritto per il Lampoon delle storie sulle sue esperienze universitare, viene portato a bordo per completare la squadra.
Kenney, Miller e Ramis ripartono insieme, trascorrendo tre mesi a dragare ogni aneddoto divertente che potevano ricordare riguardo ai loro giorni universitari. Molti personaggi di Animal House vengono modellati sui ragazzi che Miller aveva conosciuto nella sua confraternita del Dartmouth College; era lì che aveva incontrato il suo Otter dalla parlantina sciolta, il suo maldestro e grassoccio Sogliola, e il suo Pinto nerdissimo. Il resto dei Delta sono degli archetipi inseriti per ricordare al pubblico la tipica fauna che si poteva incontrare al college. Tra questi ci sono l’ansioso Hoover, il sarcastico Boon, l’eccentrico D-Day e, naturalmente, il selvaggio John “Bluto” Blutarsky, interpretato con totale abbandono e una sorprendente serie di espressioni facciali fumettistiche da John Belushi. Harold Ramis, dal canto suo, aveva precedentemente (non scherzo) lavorato in un reparto di psichiatria, il che, per fare un film del genere rappresenta un gran vantaggio.

 

Va detto che il National Lampoon era una rivista mensile che aveva praticamente inventato la commedia americana così come la conosciamo oggi. Negli anni ’60 nacque come pubblicazione universitaria con il nome di Harvard Lampoon per poi trasformarsi, nei primi anni ’70, in rivista a tiratura nazionale, poi, a cavallo della seconda metà si trasformò anche in show radiofonico dove gli speakers erano calibri come Chevy Chase, John Belushi, Dan Aykroyd e Bill Murray. Ma è con Animal House che ebbe la sua più incisiva incarnazione e il più grande impatto sul genere.
Impone allo show business dei paletti che diventano subito canone e dogma da rispettare per fare una commedia che vuole far ridere:
Case trasandate? CELO.
Gli snob contro i disadattati? CELO.
Ragazzi arrapati che rincorrono ragazze utilizzando i più bassi espedienti pur di sfilargli le mutandine? CELO
L’anarchia che lotta per sopravvivere in un sistema che la vuole estinta, espulsa, cancellata? CELO, CELO, CELO.
Questa formula ispira un sacco di scadenti imitatori ( come, del resto, fanno tutti i film quando diventano classici ) ed è la sua genuinità ad avere davvero un impatto.
In verità, a parte alcuni geni come Mel Brooks, la commedia cinematografica americana era diventata stantia durante gli anni ’70. Animal House, con la sua irriverenza, è riuscita ad essere estremamente scioccante. Sì. Ok. Il film è fondamentalmente un mucchio di scherzi stravaganti e non è certo tra quelli più vispi e intelligenti che si possano vedere, ma quasi sempre scende dal letto con il piede giusto, e a meno che non vi offenda l’idea di vedere studenti universitari ubriachi, a distanza di più di 40 anni Animal House è ancora godibilissimo. È l’ultimo sospiro di nostalgia per gli anni ’60 da parte di quella generazione che 10 anni dopo ci ha regalato American Graffiti e Happy Days.

 

Il lavoro di Doug Kenney al Lampoon fu una camera di gestazione per gran parte del futuro della commedia americana; la maggior parte del suo staff furono i primi scrittori/autori/interpreti di quel fenomeno che divenne il Saturday Night Live; pensate, anche John “Brat Pack” Hughes era uno scrittore della rivista. E la trama di Animal House è straordinariamente semplice:
I Delta sono la “peggiore confraternita del campus” di Faber (un luogo fittizio realmente inscenato in una vera università dell’Oregon), e a causa del loro scarso rendimento vengono messi sotto “doppio controllo segreto” dal bastardissimo rettore Wormer. I Delta, ovviamente, non si piegano ed anzi, intensificano la loro guerra con il rettore e i suoi alleati snob della confraternita Omega Theta Pi, fino a che la situazione esplode, vengono cacciati dalla loro casa ed espulsi da scuola, ma non prima di prendersi la loro giusta rivincita.
Nel gioco dei ruoli, i cattivi sono “gli omega”: bulli sessualmente repressi e traditori che eccellono nel rendimento scolastico e rappresentano l’umanità al suo assoluto nadir, mentre i Delta sono esattamente l’opposto: hanno un rendimento scarsissimo, imbrogliano le prove, mentono e uccidono un cavallo nello studio del rettore ( anche se, tecnicamente, è una specie di incidente). Non sono i bravi ragazzi del film; diciamo, però, che sono i meno cattivi.
Il cast è composto principalmente da sconosciuti o attori alla loro prima grande prova, per questo la produzione Universal impone al regista, John Landis, di avere in scena almeno una star riconosciuta altrimenti «la gente non avrebbe avuto un vero motivo per andare a vedere il film». Viene contattato Donald Sutherland che accetta di prendere parte. Gli propongono 35.000 paperdollari sull’unghia, oppure il 2% dei guadagni che il film avrebbe incassato al botteghino. Donald non ci pensa troppo su e sceglie i 35mila subito, di fatto rinunciando a più di 10 milioni nell’immediato futuro.
E Belushi? Non è una star anche Belushi? No. Non ancora, perlomeno. È discretamente conosciuto per via del Saturday Night Live ma non ancora lanciato nello star system. Per questo motivo offre una prova maiuscola sia personale che professionale. È la prima volta a Hollywood anche per lui e ci tiene a fare bella figura, sta bene alla larga dalle droghe scegliendo di alloggiare lontano da cast e troupe, e se ne sta tranquillo in albergo con sua moglie dando sempre il 100% sul set.
Kevin Bacon, invece… Beh, fa il cameriere quando viene scelto per la parte. Anche lui è Mister Nessuno e lo pagano addirittura con il minimo sindacale. Nel giro di una settimana ha già speso quei soldi ma deve ringraziare Animal House per aver iniziato una brillante carriera.

animal house

Gli aneddoti riguardo alla lavorazione del film sono diversi. Il cast sceglie di immergersi completamente nello script vivendolo anche fuori dalle riprese. Le confraternite che lo spettatore avrebbe visto al cinema vengono messe in essere anche tra i membri del cast con tutte le frizioni che ne derivano, e proprio in quest’ottica, tutti gli attori decidono di partecipare a una vera festa di una confraternita nel campus dell’Università dell’Oregon. Purtroppo, la festa resta memorabile solo per la conseguente rissa che si scatena dopo che un gruppo di ubriachi prende a male parole l’attore James Widdoes (Hoover). I pugni volano, i denti anche, e l’attore Bruce McGill (D-Day) ne esce fuori con un occhio nero. Il giorno dopo, McGill dice a Landis che il suo è stato un infortunio durante una partita di football un po’ troppo ruvida, ma Landis alla fine lo scopre ugualmente.
E a proprosito dell’Università dell’Oregon: durante la ricerca di un campus universitario dove effettuare le riprese di Animal House, i filmmaker visitano sei diversi stati e 12 college. Appena i rettori leggono la sceneggiatura dicono subito di no. Tutti tranne l’Università dell’Oregon. Perché? Perché fu un colpo di fortuna, ecco perché.
Il rettore della scuola aveva precedentemente negato la possibilità di effettuare riprese alla produzione de “Il Laureato” perché riteneva che la sceneggiatura fosse troppo “sporcacciona”. Quando il film di Mike Nichols esce nelle sale, ottiene un fantastico successo e consacra Dustin Hoffman come star mondiale. Il rettore si rende conto di non capire un cazzo di cinema e se ne pente amaramente. Così, quando gli propongono la sceneggiatura di Animal House, non si preoccupa neanche di leggerla (tanto con ci capisce una sega) e dà subito il suo OK.

 

Seguendo la moda degli anti-eroi tipica degli anni ’70, Animal House termina con una vittoria di Pirro. Invece di preoccuparsi di essere reintegrati, i Delta se ne fregano e si vendicano dei loro oppressori. Trasformano una macchina presa in prestito in una bat-mobile del demonio, attaccano una sfilata trasformando la celebrazione ordinata in una rivolta caotica. Alla fine non sconfiggono realmente il rettore Wormer, ma forse fanno di peggio: lo mettono in imbarazzo.
Perché la satira è questo che fa: sbeffeggia e ridicolizza il potere. Perché i Delta non hanno mai avuto un piano che andasse oltre il semplice sovvertimento dell’ordine e il perseguimento dell’anarchia.
Prima che si scateni l’inferno finale, Otter definisce il loro piano di vendetta come «un’azione assolutamente futile e stupida». Un gesto che non mira ad obiettivi più grandi e non cambia nulla dello status quo. È semplicemente una scusa per fare qualcosa di grosso e stupido, per far incazzare qualcuno e far ridere tutti gli altri. Ecco, i Delta servono a questo e a nient’altro. E se non capite quanto preziosa sia questa lezione, cosa sia realmente il senso della satira, vi meritate un’esistenza senza BAR.

Un caro saluto a Doug Kenney. Non importa dove sia adesso, di sicuro quella volta, semplicemente rubando un bastone, riuscì a mostrarci la metafora della società americana e guidare la forza inarrestabile dell’ottuso perbenismo contro il muro inamovibile dell’anarchia.

 

FONTE: il libro di Bob Woodward “CHI TOCCA MUORE – La breve delirante vita di John Belushi”


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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