Orgoglio e pregiudizio e NOLAN BUSHNELL #1 – Da Atari a PIZZA TIME THEATRE

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pizza time theatre

 

Dopo esserci guardati indietro alla sua presidenza di Atari dal ’72 al ’78, e aver fatto un quadro della situazione perfino su Atari Games, arriviamo a vedere cosa è successo al presidente più baldanzoso della Silicon Valley una volta uscito dall’azienda che ha fondato.
Qualche tempo fa lessi per caso quello che stava combinando Nolan Bushnell negli anni recenti e venni colto da mille perplessità sulla sua effettiva credibilità nell’Information Technology. Per me Nolan Bushnell, con la sua commistione di incoscienza e intuizione, è difficile da inquadrare senza sbilanciarsi da una parte a danno dell’altra e, ahimè, è solo vivendo della memoria di ciò che ha fatto fino alla metà degli anni ’80 che il suo personaggio funziona veramente. È un po’ come la carriera di Fabio Grosso fuori dai mondiali del 2006: si entra in un territorio minato denso di prestazioni non sempre al top e vittorie assolutamente non determinanti per definire l’intero appeal che il giocatore si è guadagnato durante quella sola, fantastica estate tedesca.
Il mio sopracciglio inarcato di perplessità si rilassa però di colpo quando leggo come Nolan ha vissuto quei movimentatissimi anni dopo la sua dipartita da Atari, e gli conferisco il seal of approval alla carriera. Per quanto avesse comunque avuto delle iniziative totalmente confusionarie e spesso azzardate, alla fine aveva un piano. Un piano ambizioso, certo. Un piano caotico, sicuro. Ma pur sempre un piano che cercò in tutti i modi di attuare.
Oh, io di quello che si è inventato il mercato dei videogiochi tendo a fidarmi a prescindere, eh?! Anche se continuò a credere fortissimo in quel settore nonostante gli stesse franando tutto addosso; per cui penso che lo potremmo perdonare anche soltanto per la convinzione che ci mise, e per il fatto che uno dei suoi sogni tirasse in ballo una società del futuro caratterizzata da robot servitori.
Sigla!

 

DISCLAIMERPrima che il solito Adriano di turno sollevi l’indice facendo notare quanto poco di originale e creativo ci sia in questo articolo, mi preme sottolineare il fatto che anch’io, come molti, dispongo di quella invenzione illuminata che si chiama “internet”, e non essendo mai esistito un corso di scienze atariane in cui potersi laureare, l’unico modo che ho per attingere informazioni sugli argomenti che mi interessano è navigare e leggere, appunto, in internet. Per questo motivo ho elencato le mie fonti in calce a questo articolo, e invito tutti i perfezionisti di questa ceppa ad accomodarsi fuori dal blog. Questo articolo non fa per voi. Sciò.

Inizio questo pezzo precisando una cosa fondamentale: Nolan Bushnell è nato con l’indole del ristoratore, e questo è tanto vero quanto è vero che Jack Tramiel avesse l’indole da bottegaio. Quando arriva in California nel 1969, appena uscito dall’Università dello Utah, già pensa ad aprire un ristorante. Lo rammenta sempre durante le frequenti partite al gioco da tavolo “Go” con Ted Dabney, suo collega e amico nella leggendaria azienda Ampex della Silicon Valley. Nei loro primi anni di collaborazione insieme, Dabney è in pratica l’esecutore e rifinitore materiale delle mille iniziative visionarie di Nolan Bushnell. E in quella prima fase delle loro rispettive carriere, quando nessuno dei due aveva ancora ben capito cosa cazzo fare nella vita, vanno in giro insieme per ristoranti, li guardano, vedono come funzionano e cosa vorrebbero cambiare.
Nolan è rimasto molto segnato dalla sua esperienza di lavoro estivo in un luna park durante l’università, ed ha l’idea fissa di mettere su un ristorante che sia “tipo un luna park”, o perlomeno restituisca quel genere di sensazioni.
L’anno successivo, nel 1970, Dabney e Bushnell iniziano a lavorare su Computer Space, il primo videogioco commerciale a gettoni del mondo, ma Bushnell non abbandona l’idea del ristorante e la tiene sempre come piano di riserva. Dopo, le cose andranno come devono andare; nel 1972 con Dabney fonda Atari, e il successo eccezionale di Pong fa sì che i suoi progetti di ristorazione passino definitivamente in secondo piano per un paio d’anni.

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La mascotte di Atari: RICK RAT. L’antenato di Chuck E. Cheese

Una partita dopo l’altra, la fortuna di Atari si ingigantisce, prima con i cabinati e poi con le console da casa, ma nonostante tutto Nolan Bushnell continua a rimuginare sul suo sogno di ristorazione. Gli viene in mente che il suo ristorante può anche servire ad Atari per testare sul campo i propri prodotti, dando alla società il polso della sua efficacia nel campo dell’intrattenimento. A questa intuizione contribuisce molto il modo in cui i videogiochi ( a quel tempo un media completamente nuovo in emersione ) siano generalmente percepiti dai vecchi media come TV e giornali. Esattamente come accadrà anni dopo qui da noi in Italia, i videogiochi sono dipinti come strumenti del demonio, e i luoghi che li ospitano sono fonti di perversione e vizio. Allo stesso modo in USA, all’inizio degli anni ’70, i videogiochi e i luoghi dove li potevi trovare più spesso: bar defilati, stazioni di servizio, e sale giochi, vengono spesso rappresentati dai giornali come fucine di decadimento morale.
A Bushnell questa immagine negativa delle sale giochi sta profondamente sul cazzo, e pensa di combatterla utilizzando la sua vecchia idea del ristorante, certo, ma orientandolo alle famiglie.
È un’intuizione geniale e anche molto conveniente perché può tornare utile ad Atari per espandere il suo potenziale bacino di clienti. L’idea, infatti, funziona alla grande, e alla lunga finisce per cambiare la percezione popolare dei videogiochi arcade in tutta America.
Intorno al 1974, Bushnell inizia a chiamare il suo progetto di ristorante Atari, “Coyote Pizza”. Racconta spesso la storia di clienti che possano assistere a uno spettacolo divertente mentre consumano un pasto servito da camerieri travestiti da coyote. Intanto, però, nei corridoi degli uffici Atari compare un grosso ratto grigio. I dipendenti indossano spesso quel costume in occasione di eventi aziendali, e il personaggio diventa presto familiare. Bushnell lo chiama “Rick Rat” e due anni dopo, quando Warner Communications acquista Atari, il costume da topo può essere spesso visto abbandonato su una sedia nell’ufficio di Bushnell. Rick Rat è ormai la mascotte non ufficiale di Atari.
Durante le trattative con la Warner, Bushnell propone anche l’idea di avviare un ristorante pizzeria con videogiochi arcade, ma la controparte è interessata a tutto fuorché a quello.
Così, con l’arrivo dei nuovi padroni che pretendono di gestire alla loro maniera, Nolan non è più il possessore della sua creatura e si sente più che legittimato a cominciare a sviluppare il suo vecchio sogno del ristorante. L’incarico per il perfezionamento del primo ristorante Atari viene conferito a Gene Landrum, il responsabile della campagna marketing della console 2600.

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Durante il processo di sviluppo di Landrum molte cose cambiano e altrettante vengono messe a punto. Innanzitutto la mascotte di Atari “Rick Rat” deve cambiare nome. Ci vuole un nome nuovo meno aggressivo, e visto che il ristorante si dovrà rivolgere principalmente ai bambini, sarebbe buona creanza che non ci fossero ratti di mezzo.
Sulle prime Rick Rat diviene “Big Cheese”, ma una ricerca rivela che il nome è già stato preso da un’altra società, così Landrum e i suoi ci si mettono di impegno e tirano fuori dal cappello “Chuck E. Cheese” – un nome che per essere pronunciato necessita di fare tre sorrisi. Un nome in tre sillabe proprio come quello di MI-CHEY-MOUSE. Un nome con di mezzo una lettere “E” che sta per “ENTERTAINMENT”. Un nome che, fondamentalmente, piace da morire a Bushnell.
Landrum sottolinea anche la necessità di avere un’atmosfera adatta alle famiglie e quindi priva di adolescenti turbolenti che fanno casino ai tavoli. Quegli stessi adolescenti che all’epoca vengono dipinti dai media come un gruppo demografico pericoloso la cui unione ai videogiochi del diavolo non può fare altro che generare mostri. L’intrattenimento poi, è fornito da personaggi animatronici che cantano canzoni ed eseguono siparietti ogni otto minuti mentre i commensali sgranocchiano pizza.
Tutto bello. Tutto ok.
C’è solo un piccolo problema, nel 1977 non esistono fabbriche che producono robot o animatroni, così come non esistono i televisori ad alta definizione e i videotelefoni. I robot sono un sogno che George Lucas sta spacciando al cinema con il suo Star Wars, quindi, se vuoi vedere quel sogno avverarsi te lo dovevi creare da solo. E proprio questo fece Bushnell mettendoci a lavorare sopra personale Atari, ditte esterne, e di fatto incoraggiando i suoi ingegneri a sperimentare tecnologie futuristiche al di fuori del regno dei videogiochi, come i videotelefoni (un progetto chiamato “Phoney“), le telecamere computerizzate e i dispositivi di telecomunicazione per non udenti.
Diverse persone svilupparono i personaggi robotici animati che in seguito avrebbero abitato le mura del primo ristorante Atari a San Jose. Battezzato Pizza Time Theatre, dapprima accoglie solo torsi superiori costretti all’interno di finte cornici, poi anche veri e propri automi a figura intera.
Bob Flemate, direttore artistico di Atari, disegna Chuck E. Cheese e gli altri personaggi che popolano il ristorante. Gli ingegneri della Cyan Engineering forniscono i disegni meccanici per i primi animatroni che sono mossi da pistoni pneumatici e attivati tramite computer grazie a un apposito nastro bobina che può essere copiato e spedito in ogni negozio del franchise.

 

Il primo Atari Pizza Time Theatre apre sulla South Winchester Boulevard a San Jose il 16 maggio 1977. Per la comunità è un vero evento e riceve un accoglienza più che positiva, con tanto di sindaco di San Jose lì presente per inaugurare l’impresa. Anche gran parte dei dipendenti Atari che hanno collaborato sono presenti per festeggiare.
Sin dall’inizio, l’atmosfera del ristorante è rumorosa e chiassosa, proprio come fosse un luna park itinerante con giostrai e imbonitori che strillano agli angoli, e questo stile diviene uno dei marchi di fabbrica del franchise. All’interno non è diverso, in una combinazione vorticosa di luci sgargianti e rumori elettronici ininterrotti, Nolan Bushnell contempla tutto in estasi; è al settimo cielo. Quel cazzo di ristorante è proprio come se l’era sempre immaginato.
Umorismo e sfacciataggine sono ovunque. Le 100 macchine da gioco installate nella struttura operano con gettoni personalizzati timbrati con l’effige di Chuck E. Cheese. Sul retro del gettone c’è stampato il motto: “In Pizza We Trust”.

Nolan Bushnell sorride raggiante in una foto scattata quel giorno, felice di vedere il suo ristorante dei sogni finalmente trasformarsi in realtà, ma nel frattempo in Atari le cose non si mettono bene per lui. Il management della Warner non è per niente divertito da tutto quel circo intorno a un semplice ristorante, e piuttosto si chiede quanto siano venuti a costare i robot cantanti che ci stanno dentro. La realtà e che non vogliono avere niente a che fare con il settore della ristorazione e per loro è soltanto un enorme spreco di denaro e risorse.

pizza time theatre

Così, per mantenere vivo il suo sogno, nel 1978, Nolan Bushnell acquisisce il ristorante Pizza Time Theatre di San Jose e tutti i diritti sul marchio direttamente da Atari, e lo fa mentre è ancora presidente, pagando tutto “solo” 500.000 paperdollari. È una mossa astuta e lungimirante dato che proprio alla fine di quell’anno le divergenze tra lui e il management di Warner diventano incolmabili e dopo una seduta di fuoco del consiglio di amministrazione, dove Manny Gerald lo fustiga per le basse vendite della console VCS durante la stagione natalizia del 1977, Nolan è costretto a lasciare l’azienda nel novembre 1978.
Aveva 35 anni, e si poteva concentrare completamente sul suo secondo grande successo e primo fallimento della vita: Pizza Time Theatre.
Il seguito nella seconda parte di questo specialone.
つづく

 

Fonte: https://www.fastcompany.com/40425172/robots-pizza-and-magic-the-chuck-e-cheese-origin-story?itm_source=parsely-api

Pizza Time Theatre


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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