LA GRANDE STORIA DI ATARI GAMES

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atari games

 

Essere una Atariano è come essere il marito di Cicciolina: c’è stato un tempo in cui te la invidiavano tutti, ma adesso non la riconosci più e devi periodicamente ricostruirle le pareti interne.
Il problema di Atari è che ha fatto di tutto nel corso della sua vita; ha cambiato mille forme. La gestione pionieristica di Bushnell, quella rampante di Kassar, quella a risparmio di Tramiel, Namco, i tizi degli Hard Disk, Hasbro, WMS, e infine Infogrames. Le hanno messo le mani addosso tutti. T-U-T-T-I!
L’azienda si è espansa, poi è esplosa, poi è collassata e fallita, poi è risorta ma era diversa, poi è fallita di nuovo, poi è risorta ancora ma non era più lei, e intanto proprietà intellettuali venivano vendute, altre trattenute, le console lanciate per smettere di venderle, la ricerca e sviluppo abbandonata, il merchandising pimpato, le app per telefonini scaricate, il gioco d’azzardo abbordato, l’ano sbiancato.
A 47 anni dalla sua fondazione, Atari è una milfona molto brava a fare tutto ma è cambiata dentro, e anche se stringi un rapporto strettissimo col silicone non è detto che tutti i tuoi amanti apprezzino. Per superare uno di quei tanti momentacci, Atari arrivò addirittura a dividersi in due, affrontando un grosso disturbo bipolare che si portò dietro per diversi anni. Nel 1984 la Warner Communication ha l’idea di splittarla e creare Atari Games: un’azienda esclusivamente impegnata nel mercato dei Coin-op, sottraendola dalle manine unte di Jack Tramiel che si comprò l’altra metà. In quel momento serviva un rimedio radicale e funzionale, siamo d’accordo, ma anche così facendo Atari restò un vaporetto in un oceano dove imperversava l’uragano Nancy, e non bastò neanche quello. La storia finì con l’incorporazione di Atari Games all’interno della Midway Games e 23 anni di iconica tradizione buttati nel cesso.

 

“A” come Atari”. Aaah, quante volte ne avrò parlato sulle pagine del blogghino, vero? E rieccomi qui, a ricascarci. Da vecchio nostalgico e incartapecorito che mi ritrovo, torno a raccontarvi di quell’azienda che negli anni ’70 e fino ai primi anni ’80 era semplicemente sinonimo di “videogiochi”. Dopo aver sostanzialmente definito l’industria del coin-op con successi come Pong e Asteroids, Centipede, Tempest, and many others, Atari lanciò l’abbordaggio al mercato casalingo americano con il suo Atari Video Computer System (o Atari 2600), e non ce ne fu più per nessuno.
Con le sale giochi e le case americane ben serrate nel suo pugno, Atari sembrava essere l’imbattibile dominatrice dell’universo. Era così salda nella sua convinzione di imbattibilità che non riusciva ad immaginare che qualcosa potesse andare storto. E infatti, QUALCOSA ANDÒ STORTO! Troppe console e troppe cartucce sul mercato, insieme ad alcuni prodotti veramente pessimi tra cui il suo E.T. per 2600 e la console SuperSystem 5200, la precipitarono nel profondo baratro che si aprì con il Crash dei videogiochi del 1983. La Warner Communications, proprietaria di Atari, cominciò a perdere milioni di paperdollari al giorno e così, un anno dopo, nel 1984, la divise in due tronconi e svendette quello che non funzionava più (console e computer casalinghi) a Jack Tramiel, mentre rilanciò la divisione arcade come entità autonoma a sé stante. Da quel momento in avanti ci sarebbero state due distinte Atari sul mercato. Portavano lo stesso nome ma non erano autorizzate a interagire tra loro.

1)Atari Corp: una nuova compagnia pesantemente ristrutturata da Jack Tramiel che si occupava di sviluppare e commercializzare computer, console, videogiochi.
2)Atari Games Corp: che sviluppava videogiochi per il mercato coin-op e raccoglieva l’eredità della compagnia originale.

L’ultimo coin-op rilasciato a nome ATARI intesa come un’unica società fu I, ROBOT nel giugno 1984. Sviluppato da Dave Theurer l’anno precedente e poi rimandato ai laboratori per risolvere diverse difficoltà tecniche, era avantissimo rispetto agli standard del tempo. Considerando che arrivava ad appena tre anni di distanza dal rilascio di Pac-man, fu il primo videogame commerciale ad utilizzare la grafica a poligoni pieni e dare la possibilità al giocatore di cambiare la soggettiva di gioco.
Purtroppo, proprio a causa della sua natura radicalmente diversa dai giochi contemporanei, così come della sua trama esoterica, “I, Robot” ebbe scarso successo nelle sale giochi. Ne furono costruiti solo 750-1000 cabinati che oggi sono diventati oggetti rari e di culto per i collezionisti.

 

Comunque, dicevo che la scissione non fu indolore. In quella calda estate del 1984 centinaia di dipendenti vennero mandati a casa in quello che si può definire un bagno di sangue tipo la cacciata dei Bolton da Grande Inverno. Un significativo giro di licenziamenti venne portato a termine anche presso Atari Games un mese dopo l’ufficializzazione dello split e, nell’agosto 1984, la forza lavoro della società venne ridotta di circa 100 unità, o del 40%, vedete voi. Atari Games rimase con 150 lavoratori, i videogiochi che avrebbero realizzato in futuro dovevano essere marchiati col nome completo “Atari Games” per sottolineare la separazione da Atari Corp., e la nuova società non aveva il diritto di produrre i sequel dei videogiochi già realizzati dalla vecchia Atari fino a quel momento. Ciliegina sulla torta: non era assolutamente permesso pubblicare videogiochi per il mercato casalingo.
Dopo una botta del genere, direte voi, sarebbe stato difficile rialzarsi, ma Atari Games non era una società qualunque. Conservava le radici più profonde in quella che era stata la vecchia Atari. Quasi tutti i suoi impiegati erano gente che era stata assunta a bei tempi, e già allora abituati a gestirsi per conto proprio, conservando sempre un certo tasso di indipendenza dal board dirigenziale anche quando dietro la scrivania c’erano mastini tipo Ray Kassar. Contemporaneamente, diversi progetti interessanti erano stati già parzialmente avviati pre-crisi ed il momento di raccoglierne i frutti era arrivato giusto giusto per inaugurare il nuovo corso.
Il primo gioco ufficialmente edito da Atari Games fu “Return of the Jedi” nel settembre di quello stesso anno e già si cominciava a capire che, sì, va bene, ci siamo divisi, ma ci dispiace per gli altri che sono tristi e sono tristi perché non sanno più cos’è l’amor!

 

Ma è nel dicembre di quell’anno che ha inizio il grande cambiamento nella produzione dei suoi videogiochi.
Atari Games rilascia Marble Madness spostandosi verso componenti hardware e software standardizzati e facendo esordire il System I, la prima versione di una board hardware che verrà utilizzata moltissimo fino al 1991. Arrivando in sala giochi, Marble Madness è stato il gioco che ci ha portato l’Atari Font, l’iconica Atari Bell quando si aggiungeva un credito e, soprattutto, l’elevatissimo potenziale dei chip POKEY e Yamaha YM2151 combinati insieme in una stupefacente resa sonora. Ma che ve lo dico a fare?

 

Nel 1985, un anno dopo lo split, Namco acquista la quota maggioritaria e diviene la società madre di Atari Games. La cosa non influenza più di tanto l’azienda (le due società avevano sempre avuto rapporti più o meno stretti già dai bei tempi di PONG fino all’acquisto della licenza di Pac-man) che non smette di mietere successi in sala giochi. Mantenendo un considerevole numero di ingegneri proveniente dalla vecchia divisione arcade “Atari Coin-op” (tipo Ed Logg), ha ancora parecchie cartucce da sparare.
I titoli di Atari Games pubblicati in questa seconda parte degli anni ’80 hanno uno stile immediatamente riconoscibile. Tutti hanno i font simili, tutti puntano molto sulla tridimensionalità, hanno lo stesso hardware di sintesi sonora e vocale. Si, certo, le voci che si sentono sono un po’ confuse, fatte con una sintesi non eccezionale, ma comunque sono voci, e quando un giocatore mette una moneta e sente quel “BONG” di aggiunta credito, sa perfettamente che ha suonato il citofono di casa Atari Games.
Ad Aprile viene rilasciato Paperboy su System II, un’ulteriore evoluzione della board System I.

 

Segue, due mesi dopo, Indiana Jones And The Temple Of Doom

 

…e l’anno si conclude più che degnamente con il rilascio di Gauntlet.
Il mercato dei videogiochi sarà pure in crisi nei salotti degli americani, ma nelle sale giochi, corridori… Nelle sale giochi, Atari regna ancora.

 


Il 1986 non si discosta molto dall’anno precedente. Ancora una volta un pool di nuovi videogiochi viene commercializzato e lo standard si mantiene ai massimi livelli.
In Aprile, Super Sprint impatta le sale giochi e ripropone un vecchio classico di casa Atari in versione reboot.

 

In Agosto arriva Gauntlet II

 

 

…Ma è soprattutto in dicembre con l’uscita di 720° che Atari Games sforna un gioco di street-sport pieno di aspetti affascinanti. Mentre i legami con la cultura dello skateboard gli danno immediatamente un pubblico, la sua struttura è ancor più interessante e, per quanto ne so, unica.
Lo scopo è completare quattro skate park, guadagnando il maggior numero possibile di punti lungo il percorso. Non vi è alcuna barra della salute o numero di “vite” nel gioco. Invece, il giocatore si ritrova nel bel mezzo di un grande spazio esplorabile, la “Città dello skateboard”, e deve trovare la via d’accesso per uno dei quattro eventi situati lungo i bordi della mappa.
Il motivo per cui funziona è che il giocatore non deve capire tutto per poter giocare. Finché si limita a pattinare, a trovare punti, ad andare bene negli eventi, il gioco continua. Fare meglio in ognuna di queste cose verrà gratificato con maggior tempo a disposizione, ma con 16 eventi da completare è necessario un sacco di pratica.

 

Il 1987 è un anno movimentato a livello dirigenziale. Un gruppo di dipendenti capeggiati dallo stesso presidente di Atari Games (Hide Nakajima) acquista 1/3 delle azioni in possesso di Namco, ovvero, circa il 20% delle azioni totali. Di conseguenza, Atari Games diventa controllata per circa il 20% dai suoi stessi dipendenti, circa il 40% resta di proprietà di Namco, e circa il 40% è ancora proprietà di Warner Communications. Ne deriva che nessuno dei tre principali azionisti ha la maggioranza assoluta e Atari Games diviene indipendente da qualsiasi proprietario in maniera diretta.
Tra i giochi di rilievo, nel mese di marzo viene rilasciato Roadblasters.

 

Mentre a novembre tocca a Xybots.

 

Essendo esclusa per contratto dal mercato dei videogiochi casalinghi, Atari Games escogita la creazione della consociata (ma interamente controllata) TENGEN per eludere anche questo vincolo. Il nome della società non viene scelto a caso: se “Atari” è il nome di una dichiarazione del gioco “Go”, “Tengen” è il nome di un importante torneo di Go che si gioca in Giappone. Attraverso Tengen, Atari Games pubblica ufficialmente solo 3 giochi per NES, ma dozzine di altri senza la licenza della grande N. Il disprezzo per le politiche di licenza fa sì che Nintendo intenti una causa che meriterebbe un articolo apposta sul blogghino. Per il momento vi basti sapere che i tribunali non furono gentili con Atari Games. Per niente gentili, ma andiamo avanti.

atari games

 

Siamo adesso nel 1988 e la nuova aria che tira, carica di ottimismo e prospettive, fa in modo che i vecchi leoni rientrino in gabbia, infatti si assiste al ritorno in Atari di vari ex-dipendenti precedentemente fuoriusciti tipo Ed Rotberg. Il creatore di Battlezone ritorna in forze all’ingegneria e programma il terzo sequel ufficiale di Asteroids: Blasteroids. Come detto in precedenza, però, Atari Games è legalmente diffidata dal creare qualsiasi tipo di sequel diretto dei vecchi videogiochi editi prima dello split. Per questo motivo Rotberg crea il suo gioco chiamandolo in modo leggermente diverso. Come era già accaduto per Super Sprint, il diavolo sta nei dettagli, e bastano piccole sfumature per eludere il divieto. Era un po’ come se Miyamoto fosse stato esiliato da Nintendo e lui e il suo gruppo di ingegneri avessero iniziato una nuova attività indipendente chiamandola Nintendo Games e realizzando un gioco simile a Super Mario Bros. intitolato Super Blario Bros., con Blario e suo fratello Bluigi.

 

Nel Maggio di quell’anno, dopo una lunga e contorta vicenda legata ai diritti, Atari Games acquisisce da Mirrorsoft i diritti esclusivi mondiali per il videogioco sovietico: Tetris. Dopo un tira e molla legale e varie supercazzole, ad Atari Games vengono definitivamente concessi solo i diritti per rilasciare una conversione coin-op, gli altri se li vuole accaparrare Nintendo. Ma so’ comunque soldi, corridori. SO’SOLDI!

 

1989
Essere chiusa fuori dai vecchi franchise permette ad Atari Games di ingegnarsi per eludere i divieti, ma anche di reinventarsi con nuovi giochi e idee rivoluzionarie. Fu pioniera in molti campi della tecnologia coin-op e se Marble Madness nel 1984 è considerato il primo videogioco con audio stereo, Hard Drivin’, in uscita quest’anno, è il primo simulatore di guida realizzato con grafica poligonale.
Sul fronte dell’home gaming, invece, sono scoppole forti per TENGEN. In lotta permanente contro Nintendo per i diritti di Tetris e la possibilità di produrre cartucce per il NES, inizia un lungo calvario processuale che la condurrà a una sonora sconfitta. I giudici riconoscono a Nintendo i diritti per la conversione casalinga del gioco russo e impongono a TENGEN di distruggere tutte le cartucce già prodotte fino a quel momento. In più, una nuova causa legale viene intentata da Nintendo per violazione del copyright e produzione illegale di cartucce per il suo NES. Di lì a due anni perderà anche su quel fronte.
È l’inizio della fase discendente per Atari Games/Tengen che da questo punto in avanti vedrà precludersi ogni possibilità di espansione nel mercato console e un fisiologico calo nel mercato coin-op dovuto all’ingresso in commercio della nuova generazione a 16 bit.

 

Dagli anni ’80 fino agli inizi dei ’90, Atari Games affronta molti generi diversi e, dovendola dire tutta, marca più goal di quanti ne potrebbe sbagliare. Cavalca l’onda lunga dei puzzle game in stile Tetris rilasciando il suo KLAX, e vari altri giochi durante il corso di questo prolifico anno.

 

Nel 1990, Atari Games realizza il meno impressionante ma non per questo poco originale Pit-Fighter, un videogioco di combattimento con sprite digitalizzati. Pit-Fighter sembrerebbe quasi una copia del più famigerato Mortal Kombat, ma non è così, anzi, è il contrario. Uscito sul mercato ben due anni prima è anche il primo gioco di combattimento a utilizzare sprite con immagini di veri attori per i personaggi del gioco (catturati attraverso l’elaborazione digitale con blu screen), una tecnica che in seguito diventerà popolare grazie proprio alla serie Mortal Kombat.

 

Time Warner (oggi nota come WarnerMedia) rientra pienamente in possesso di Atari Games nel 1994 e come primo atto manageriale smantella il marchio Tengen. Da quel momento in avanti, sul mercato, ci sarà solo un’unica entità imprenditoriale composta da Atari Games, Tengen, e Time Warner Interactive ma sotto l’insegna di quest’ultima. Il principale prodotto di nota che esce sotto la nuova gestione è Primal Rage, un videogioco in stile Mortal Kombat ma con creature preistoriche al posto dei lottatori. È un buon successo e dà origine a una serie di prodotti correlati come fumetti, giocattoli, e una lunga serie di conversioni sulle piattaforme casalinghe. Inoltre, grazie ad un accordo con Atari Corp., i nuovi giochi arcade verranno sviluppati utilizzando la mainboard della console Jaguar (l’hardware sarebbe stato conosciuto dagli addetti ai lavoti come: CoJag)

 

Nonostante Atari Games sia incorporata in Time Warner Interactive, c’è ancora spazio per pubblicare un videogioco di successo. Nel corso di tutti quegli anni e dopo così tanti sconvolgimenti interni, Atari Games ha perso la maggior parte dei suoi più talentuosi sviluppatori. Qualcuno se ne è andato per fondare una sua propria azienda, molti sono passati alla concorrenza come, appunto, Ed Logg, che emigra in Electronic Arts. Poco prima di andarsene, però, Logg è al lavoro su uno sparatutto con armi leggere chiamato Bounty Hunter che rimane necessariamente incompiuto. I dirigenti Atari Games visionano il lavoro parziale e lo trovano ricco di grandi potenzialità, così decidono di passarlo a un team di sviluppo esterno, la Mesa Logic, per vedere se ne tirano fuori qualcosa di buono. E, infatti, così è. La Mesa Logic rileva Bounty Hunter e lo sviluppa trasformandolo in un gioco sparatutto con light gun. Così nasce Area 51. Pubblicato nel 1995 sotto l’insegna di Atari Games, si rivela un buon successo in tutte le sale giochi del mondo.

 

Nel 1996, Atari Games Corp viene venduta a WMS Industries che la raggruppa in un consorzio insieme a Williams / Bally / Midway. Il che significa che dopo aver iniziato la tendenza dei videogiochi di combattimento con sprite digitalizzati, dopo essere stata derubata del concetto da Midway che lo aveva usato per il suo Mortal Kombat, Atari Games entra ora a far parte della famiglia Midway Games.
Sotto Midway, Atari Games fornisce supporto per lo sviluppo di Mortal Kombat 3 e pubblica altri giochi arcade come la serie San Francisco Rush, California Speed, War: Final Assault e Area 51: Site # 4.

 

Nel 1998, Hasbro Interactive acquista le macerie di Atari Corporation ( quella parte di società che deteneva i diritti del marchio Atari per il mercato dei computer e delle console) e riesuma il marchio Atari nel mercato delle console domestiche con la commercializzazione di videogiochi. Per questo motivo, nel 1999, la controllante Midway Games decide di ribattezzare Atari Games in “Midway Games West” ed evitare di creare confusione sul mercato con la presenza di 2 marchi Atari. Bene. Ci sono voluti solo 15 anni per rendersi conto che avere due Atari a bazzicare lo stesso mercato poteva essere fonte di confusione? Ooookay.

Anche dopo aver piazzato sotto questo marchio alcuni grandi giochi come Hydro Thunder nelle pochissime sale giochi rimaste, la storia di Atari Games è ormai definitivamente segnata. Dopo il cambio di nome, la sua produzione si sposta principalmente sui videogiochi per i sistemi domestici e i coin-op vengono abbandonati. L’ultimo gioco edito sotto il marchio Midway Games West sarà Dr. Muto, un gioco abbastanza insipido uscito nel 2002 per le console di sesta generazione e fu il canto del cigno.
A seguito del drastico calo delle vendite di videogiochi, Midway la scioglie all’inizio del 2003, ponendo definitivamente fine alla sua esistenza.

Quelli che possono reputare utile questo articoli sono invitati a lasciare un commento per testimoniare il loro amore per i giochi Atari Games.


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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