ADVENTURE : Warren Robinett e un compendio in vista di Ready Player Two

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Nel 1979 col cazzo che ci si era dimenticati del fomento. I videogiochi sbarcano nei salotti dei giovani americani e alimentano il fomento con videogiochi come questo: Adventure. E proprio con Adventure fanno la storia, accidenti se la fanno.
Negli Stati Uniti tutti giocano ad Advanced Dungeon & Dragons e mamma Atari si ritrova protagonista di una rivoluzione che cambia e cambierà le aspirazioni ludiche di svariate generazioni a venire. I suoi programmatori sono gli alfieri di quella rivoluzione, sono le rockstar di quel megaconcerto, e non vogliono certo restare in disparte a guardare, anzi, cercano di emergere, cavalcare l’onda.
Ecco perché è un buon momento per dare una rinfrescata ad Adventure, primo videogioco che dava una rappresentazione grafica a una storia di avventura e nato grazie all’indomito spirito anarchico del suo creatore, Warren Robinett, che, appunto, nel 1979 col cazzo che si era dimenticato del fomento.

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All’alba dell’era del 2600 (fine anni ’70), Atari è un grande laboratorio artigianale a conduzione familiare. Il clima al suo interno è piuttosto rilassato, esattamente come voleva che fosse il suo fondatore: Nolan Bushnell. Gli impiegati entrano al lavoro quando vogliono e non c’è nessuno che li controlli con un cronometro in mano. Molti arrivano alle 11 e tirano dritto a lavorare fino alle 7 di sera, ma se il caso lo richiede si fermano anche di notte. Insomma, diciamo che ognuno conduce i suoi orari secondo coscenza. Warren Robinett, 26 anni, programmatore con un master alla Berkeley Californiana è giusto uno di questi impiegati.
Quando arriva in Atari in sella alla sua bici (percorrendo 13 miglia) è famelico, e quando ne esce, nei giorni in cui gli tocca rimanere fino a tardi si ferma sempre a un piccolo negozio lungo la strada per comprarsi una tavoletta di cioccolato. Una notte trova il negozio chiuso e in preda alla fame più sfrenata si mette a caccia di more frugando tra i cespugli lungo la strada, proprio come fosse un orso. Ecco. Immaginatevi la situazione. Sono le 2 del mattino e questo che state vedendo è Warren Robinett che fruga tra i cespugli. Ha 26 anni ed è programmatore con un master alla Berkeley Californiana. Siamo all’inizio del 1978 e la vita va molto bene.

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Dicevo che per Warren Robinett è un periodo bello, un periodo d’oro. È un game designer, lavora per Atari, crea videogiochi per la console 2600 e proprio per questo la dirigenza lo coccola in ogni modo dandogli piena libertà creativa, l’importante è che sviluppi un videogioco in modo che venga prodotto in formato cartuccia e venduto ai quattro angoli del mondo. Per un creativo non c’è niente di meglio. Anche se all’epoca Warren non lo capisce a pieno ( e così anche tutti i suoi colleghi), la libertà creativa è un privilegio inestimabile che, così, tanto per dire, ai giorni nostri è andata quasi completamente perduta.
Privilegio, appunto, che smette di essere tale nel Novembre 1978, quando Nolan Bushnell viene sostitutito da Ray Kassar nel ruolo di amministratore delegato, e il vento cambia.
Kassar non apprezza per niente i programmatori di videogiochi. La realtà è che non riesce neanche a capire in cosa diavolo consista il loro lavoro. A quel tempo programmatore e game designer sono la stessa figura professionale, il che significa che per fare un videogioco si deve prima avere l’idea, scriversi il codice, creare un’impostazione grafica, gli effetti sonori, testarlo, e infine revisionarlo finché non si è abbastanza soddisfatti da consegnarlo per la produzione in serie. Insomma, un sacco di cose tutte insieme, tutte molto varie, tutte troppo complicate. A Kassar non interessano neanche per il cazzo e considera i programmatori come operai di una catena di montaggio. «C’è bisogno di più programmatori? Bene. Possiamo assumerli quanti ne vogliamo. tranquilli. So come gestire i game designer, ho lavorato con i designer di asciugamani!», oppure, «I programmatori creano fastidi? No problem. Li licenziamo! Fottesega se per formarne di validi ci voglia almeno un anno. In Atari non c’è spazio per le prime donne. Avanti il prossimo!»
Così, col successo della console VCS, in Atari si contano gli utili e si materializzano troppe persone col cronometro in mano, mentre ai programmatori non viene concessa alcuna percentuale sulle vendite delle cartucce né la paternità dei loro prodotti. La scusa perché ciò accada è quella del segreto aziendale ma anche un gatto riesce a capire che le intenzioni della dirigenza sono quelle di tenere i programmatori anonimi per impedire loro di farsi conoscere e avere potere contrattuale. Non ci vuole molto perché i migliori capiscano l’antifona e se ne vadano.

Migliori tipo loro. I fondatori di Activision! [Courtesy of Retrogaming Planet]
Il primo gioco per Atari VCS che Warren progetta è Slot Racers, ma mentre lo sta completando si reca in visita al laboratorio di Intelligenza Artificiale di Stanford e lì, proprio lì, gli mostrano la prima avventura testuale della storia: Colossal Cave Adventure. È amore a prima vista. Robinett la adora a tal punto da mettersi in testa di farne una versione per la consolle Atari . Pieno di entusiasmo se ne torna a Sunnyvale e propone l’idea ai suoi superiori che inspiegabilmente non la apprezzano: «Lascia perdere, Warren. Non è fattibile fare un gioco del genere sul VCS. È troppo complicato» gli dicono.
Robinett non ne è per niente convinto, per lui l’idea è fattibilissima e decide di disobbedire. In segreto si mette a sviluppare un prototipo. Per rappresentare le stanze del dungeons usa una vista dall’alto e ogni camera occupa uno schermo. Per gli oggetti mobili crea sprite rudimentali; per l’avatar, un piccolo cubetto. Lo intitola Adventure.

 

In poco tempo confeziona una demo che ripropone ai boss, e stavolta piace. Gli danno luce verde per lo sviluppo del gioco ma nel contempo lo informano che, nonostante i mesi che avrebbe trascorso lavorando su Adventure, alla fine non avrebbe ricevuto alcun credito per il suo lavoro. Il nuovo corso di Kassar impone l’anonimato come pratica standard per impedire ad altre compagnie di rubare i cervelli migliori con offerte che non si possano rifiutare.
Insoddisfatto di questa decisione, Warren decide di includere una firma ben nascosta nella mappa all’interno del gioco; sarebbe stata il suo personalissimo modo di rivendicarne la proprietà. Solo i giocatori veramente determinati l’avrebbero scoperta. Per farlo dovevano raccogliere un puntino grigio delle dimensioni di un pixel e portarlo in una certa posizione nella mappa. Questo avrebbe rimosso un muro sul lato più lontano del dungeons, consentendo l’ingresso a una camera precedentemente inaccessibile con dentro il testo lampeggiante del suo nome.

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Warren ama i Beatles e apprezza particolarmente tutti quei piccoli segreti che hanno nascosto nei loro dischi. In particolare gli sono rimasti in mente i messaggi che si possono ascoltare riproducendo il disco al contrario. Cerca, quindi, di fare qualcosa di simile. Qualcosa che non possa essere immediatamente scoperto ma svelato solo dopo un’intensa e continuativa analisi del gioco. Sarebbe stato il suo modo di personalizzarlo come fa un pittore quando firma il suo dipinto, ma deve mantenere il segreto. Ci sono tester interni in Atari, e ci sono persone che devono scrivere il manuale di Adventure. Tutte queste figure vanno tenute allo scuro. Paradossalmente, se il suo scherzetto fosse stato abbastanza buono, non se ne sarebbe accorto nessuno. In caso contrario, lui sarebbe stato subito rimosso dall’incarico e il suo posto di lavoro messo a repentaglio. Ma se fosse stato TROPPO buono, nessuno lo avrebbe trovato mai, neanche le centinaia di migliaia di bambini al quale il gioco era destinato. In quel caso Warren ha un piano di riserva: avrebbe sparso lui stesso la voce. Fottesega. Aveva già in progetto di lasciare l’azienda; con Kassar l’aria lì si era fatta irrespirabile.

 

Flashforward di un anno e Adventure viene rilasciato in un punto imprecisato tra il Novembre 1979 e l’inizio del 1980. Vende più di un milione di copie a 25 paperdollari ciascuna. Il netto di Atari sull’affare è di circa la metà, più di 10 milioni di guadagno. Warren Robinett, per il suo lavoro, è pagato 20.000 dollari l’anno.
Adam Clayton, un quindicenne di Salt Lake City, è il primo a scrivere una lettera ad Atari per comunicare di aver scoperto il trucco. Non appena la lettera viene recapitata, Steve Wright, il manager del dipartimento di videogiochi casalinghi di Atari, viene chiamato dal vicepresidente dell’ufficio marketing. È sconvolto dall’accaduto. Vuole che la firma di Robinett venga rimossa dalle cartucce. «No, è fantastico!» dice Wright. «Il Gioco è come un uovo di Pasqua. C’è una sorpresa dentro! Ai bambini piacerà trovarlo, anzi, dovremmo incoraggiare tutti i nostri programmatori a spargere questi Easter Egg nei loro giochi!».
Nel frattempo Warren Robinett è irreperibile. Prima che fosse scoperto se n’era già andato a lavorare altrove. È ad Atari che si deve la paternità della definizione. Da quel momento in avanti, qualsiasi segreto nascosto all’interno di un videogioco viene chiamato Easter Egg.
Oggi ci sono migliaia e migliaia di Easter Egg nei videogiochi. Quali sono i tuoi preferiti?

Cline & Robinett BFF

Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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