NINTENDO contro TENGEN – parte 1: una storia d’amore

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Ciao Nintendari, avete una bella collezione di giochi per NES, vero? Anche voi ve la guardate e ammirate quasi come faccio io con i miei videogiochi Atari, eh?! Bravi. Ma avete notato che talvolta, in mezzo a tutte quelle cartucce uguali ce ne sono alcune che sembrano… strane? Sono nere, hanno una forma leggermente diversa, e sono tutte fatte dalla stessa compagnia chiamata “Tengen”. Ma cos’era Tengen? E perché realizzava videogiochi dall’aspetto strano? Eeeeh, tutto gira intorno ad una furiosa battaglia legale tra due colossi dell’industria videoludica. Un caso che non solo avrebbe ridefinito le leggi, ma cambiato anche il modo in cui le terze parti producevano videogiochi per le console casalinghe. Seguitemi che vi spiego.

Nel 1984, Atari è nei guai. Il crollo del mercato dei videogiochi casalinghi del 1983 ha devastato la compagnia. Alla fine dell’anno precedente, Atari ha perso 539 milioni di dollari che non sono esattamente pizza e fichi, così scattano dei grossi cambiamenti e, soprattutto, licenziamenti.
Tutti gli accordi presi in precedenza con partner e fornitori vengono cancellati o abbandonati, intere divisioni vengono chiuse o accorpate, e nel solo Maggio 1984 vengono licenziati 700 dipendenti.
La verità è che Steve Ross, in quel momento presidente di Warner Communications, ne ha piene le scatole, e decide che è arrivato il momento di staccare la spina a questa strana scatola nera chiamata Atari che, è vero, in passato aveva dato tante soddisfazioni ma adesso… adesso sembra proprio non funzionare più. L’imperativo è uno solo: salvare il salvabile.
Steve imbastisce un piano malvagio. Divide la compagnia e la vende al dettaglio tipo come fosse in rosticceria, la darà al miglior offerente che abbia il coraggio di prendersela. Nascono così due entità distinte: Atari Corporation e Atari Games. Atari Corporation si occupa solo e unicamente dei prodotti rivolti al consumatore, tipo i computers e le console, mentre Atari Games si dedica al mercato dei cabinati da sala giochi.

Dicevano che non ce l’avrei fatta a smantellare tutto, e invece…

Il 2 Luglio 1984 suona il citofono a casa Warner. Un temerario si fa avanti per comprate la maggioranza di Atari Corporation. Si chiama Jack Tramiel e non ha bisogno di presentazioni, è il fondatore di Commodore! La sua specialità sono i computer! Gliela vendono al volo.
Warner, però, continua a cercare un acquirente pure per Atari Games, e l’anno seguente, anche Atari Games trova finalmente un compratore: è un uomo giapponese di nome Masaya Nakamura, e anche lui non ha bisogno di presentazioni. Possiede una compagnia che si chiama Namco, vi dice qualcosa? Se avete frequentato una sala giochi almeno una volta nella vita dovreste capire perfettamente chi intendo.
Il 4 Febbraio 1985, Nakamura, tramite la sua filiale americana, Namco America, compra il 60% delle azioni di Atari Games per 10 milioni di dollari. Diventa l’azionista di maggioranza e per lui è un sogno che diventa realtà: Atari! La mitica Atari! L’azienda che aveva fondato e dominato l’industria dei videogiochi adesso è sua. Ma Nakamura è tanto felice quanto occupato e quindi non ha tempo per dedicarsi alla gestione della sua nuova società, ci vuole una persona fidata che possa svolgere quel lavoro al posto suo, e quell’uomo è lo stesso che sta già dirigendo la filiale di Namco America: Hideyuki Nakajima.
Nakajima pare proprio l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Ha perfino un trascorso con Atari: nel 1973, quando Nolan Bushnell e Ted Dabney cercavano di rendere Atari un player internazionale, nacque Atari Japan. Nakajima, ne fu nominato manager generale. All’inizio, però, gli era andato tutto storto. Atari Japan faticava a trovare distributori per i suoi cabinati, quindi, in cerca di aiuto, si rivolse ad un’altra compagnia : la Nakamura Amusement Machine COmpany, ovvero, Namco.
Nakajima chiese a Nakamura di aiutarlo a distribuire i videogiochi Atari in cambio di una parte dei profitti. E Nakamura, perché no? Decide di accettare. Nonostante questo, però,  Atari Japan continuava a perdere soldi. Nakajima arrivò perfino ad impegnare i propri risparmi per mantenere l’azienda a galla. In uno sforzo disperato, volò negli Stati Uniti per incontrare i dirigenti Atari e implorarli di sostenerlo e lasciarlo continuare a lavorare. Ma Atari stava perdendo veramente troppi soldi in Giappone e decise di vendere la filiale al miglior offerente. A quei tempi, però, il mercato era in espansione e fuori c’era la fila. La prima a farsi avanti per comprare Atari Japan fu SEGA, che offrì la misera somma di 50’000 dollari. Ma Namco sapeva che questa era l’occasione perfetta per sfondare nel mondo dei videogiochi, quindi rilanciò con 550’000$ e ottenne il diritto di distribuire i giochi Atari in tutto il paese. Così Nakajima salvò il suo posto di lavoro e nel giro di qualche anno, Namco impiegò le risorse ottenute da quell’acquisto per diventare una delle compagnie videoludiche più grandi di tutto il Giappone.

Namco acquista Atari Japan, concedendole i diritti di distribuzione dei giochi arcade Atari in Giappone (Bushnell, Alcorn, Gordon, Nakamura, Nakajima)

Namco sfornò successi come Pac-Man, Galaga, Pole Position. Nel 1978 gli affari andarono così bene che Nakajima convinse Nakamura ad aprire una filiale negli Stati Uniti. Così nacque Namco America. Dove? Giusto a qualche isolato di distanza dagli uffici di Atari a Sunnyvale, California. Namco America si dà da fare e fornisce le licenze dei propri titoli più famosi ad altre compagnie americane e Midway si aggiudica due titoloni: Galaga e Pac-Man. Nakajima riesce anche a concludere grassi affari per il merchandising dei suoi giochi. Tantissimi gadget a tema Pac-Man si sparpagliano ovunque nel paese, e Namco America ci fa sopra un sacco di soldi.

Ora, dopo questo preambolo, torniamo da dove abbiamo iniziato. Siamo nel 1985, Nakajima, presidente di Namco America, si insedia come nuovo capo ed è a lui che tocca salvare Atari Games dal dopo split. Decide di ridurre lo stipendio al suo vice-presidente e ai manager, congela gli aumenti di stipendio per un anno intero e licenzia 30 impiegati. Nakajima stesso si riduce la paga del 20% e con molto dolore riesce a ristrutturare Atari Games. Litiga anche con Nakamura, il boss di Namco. C’è bisogno di investire ulteriore denaro nella compagnia e il vecchio non ne vuole più sapere perché ha timore che diventi troppo competitiva, talmente competitiva da dare del filo da torcere alla stessa Namco. Inoltre c’è sempre quella questione che Warner possiede ancora il 40% e perché Namco dovrebbe sbattersi così tanto per rimettere in carreggiata un’azienda che è anche di qualcun’altro?

Arriva Il 1987, Nakajima e Nakamura trovano un compromesso: Nakajima, assieme a una cordata di dipendenti, acquista il 20% delle azioni in mano a Namco, sarebbe diventato il presidente di Atari Games con l’appoggio di Namco stessa e avrebbe abbandonato definitivamente la sua carica dirigenziale in Namco America. Adesso, per Nakajima il cerchio è chiuso: ha iniziato lavorando per Atari in Giappone e ora sta dirigendo Atari ( o una parte di essa ) in America. Pare una favola Disney.

Una favola Disney

In virtù del suo nuovo ruolo, Nakajima presto posa il suo occhio sul mercato delle console casalinghe, che pare rinato grazie all’arrivo del Nintendo Entertainment System.
Ripeto: è il 1987, e in quel momento SEGA non sta più licenziando giochi per il suo Master System ( pare averlo abbandonato ), e l’Atari 7800, rilasciato in ritardissimo dalla Atari Corporation di Jack Tramiel, non sta ottenendo il successo sperato. Solo il NES regna incontrastato. Ma c’è un problema. Per contratto, Atari Games non può pubblicare nessuno gioco casalingo sotto il nome “Atari”, in quanto è Atari Corp a possedere i diritti sui prodotti della divisione consumatori. Per risolvere il problema, Atari Games apre una nuova filiale e la chiama “Tengen“. Nakajima pensa a quel nome ispirandosi a come Bushnell aveva inventato il nome “Atari”: Bushnell e Dabney usarono un termine del gioco giapponese “Go”, dove la parola “atari” è impiegata allo stesso modo della parola “scacco” nel gioco degli scacchi. Nakajima sceglie “tengen” perché rappresenta il centro della tavola del Go. “L’Orgine del Paradiso”.

Non tutto è facile come sembra, però. Rendere il proprio marchio un licenziatario ufficiale Nintendo significa seguire delle regole e delle imposizioni ferree: dopo l’insegnamento appreso dall’Atari Crash, Nintendo non lascia nulla al caso. Visto che la crisi era stata provocata in gran parte dai videogiochi di scarsa qualità, proprio su quel fronte c’è un rigido controllo e per diventare licenziatari si deve per prima cosa inviare i propri giochi a Nintendo per farli approvare. Nintendo ha poi il diritto di applicare dei cambiamenti, come rimuovere il sangue o i riferimenti religiosi. Una volta approvate le modifiche, sarà la stessa Nintendo a produrre le cartucce destinate alla vendita, e ognuna di loro avrà un costo che varia dai 9 ai 14 $ con un ordine minimo di 10’000 cartucce.
In più, alle compagnie viene concesso di realizzare solo 5 giochi all’anno, e questi giochi devono rimanere esclusive NES per almeno altri due anni. Sono regole rigidissime, difficili da rispettare, e infatti alcune compagnie aprono delle nuove filiali apposta per tentare di pubblicare più giochi all’anno: Konami pubblica diversi titoli sotto il marchio “Ultra”, mentre Acclaim utilizzava “LJN”. Tuttavia, il vero colpo di genio di Nintendo risiede nel chip di blocco che impedisce ai giochi privi di licenza di funzionare su NES. Sia la console che la cartuccia devono contenerne uno in modo che all’atto del collegamento possano comunicare fra loro tramite un programma chiamato “10NES”. Se la comunicazione avviene in modo corretto, il gioco parte, altrimenti no.

Nakajima non è un sostenitore di questo accordo di licenza, ma si incontra ugualmente con il presidente di Nintendo of America, Minoru Arakawa, e il vice-presidente Howard Lincoln. Del resto c’è un interesse comune per entrambe le compagnie. Nintendo vede Atari Games come un marchio di prestigio, con un seguito di grandi titoli che potrebbero benissimo arricchire il catalogo NES. Nakajima quindi spinge per delle condizioni migliori, dopotutto lui rappresenta Atari, un’azienda che ha praticamente inventato l’industria videoludica. Arakawa e Lincoln, però, non ci sentono. Tutti i licenziatari devono essere trattati allo stesso modo.
Seppur contrariato, Nakajima accetta l’accordo. Il 18 Gennaio 1988, Tengen diviene un licenziatario ufficiale Nintendo. I suoi primi tre videogiochi per NES vengono annunciati quello stesso anno al Consumer Electronic Show di Giugno: sono Gauntlet, Pac-Man e RBI Baseball.
Dopo l’accordo, Nakajima e Arakawa iniziano a vedersi spesso per andare a cena, o per giocare a golf insieme. C’è un buon feeling fra i due soci in affari, una cosa apprezzabile, no? Tuttavia, Arakawa nota che Nakajima è stranamente loquace, sempre pieno di domande a proposito degli affari e delle strategie distributive di Nintendo. Non volendo sembrare maleducato, e comunque riponendo fiducia in quello che al momneto considera un amico, Arakawa condivide con lui molte informazioni. Non ha idea che dietro le porte chiuse di Atari Games, degli ingegneri stanno già lavorando per craccare il chip di blocco del NES.

Eh sì. Perché già un anno prima, nel 1986, Atari Games aveva valutato il severo programma di licenze Nintendo. Nakajima, assieme ad altri dirigenti, non erano per niente d’accordo. Le pretese di Nintendo erano troppo arroganti, volte a controllare il mercato. «Il modo in cui Nintendo fa affari… …è paragonabile a come se la Ford producesse una maccchina che funziona solo con benzina marcata Ford.» Così disse il Capo Ufficiale Operativo Dan Van Elderin
Così, gli avvocati di Atari Games leggono e rileggono l’accordo di licenza per vedere se esiste un modo di produrre videogiochi per NES senza dover per forza passare da Nintendo. E un modo c’è, anche se non è che sia tanto regolare, eh?! Tutto si basa sul riuscire ad aggirare il chip di blocco interno. Gli ingegneri vengono incaricati di effettuare il reverse engineering del chip. Ma, dopo molti tentativi, non riescono a venirne a capo. Era chiaro che per completare il processo di ingegneria inversa del chip occorresse conoscere il programma ’10NES’. Purtroppo, Nintendo ha depositato il brevetto e protetto l’algoritmo con un marchio registrato. Ora, è vero che chiunque può entrare nell’ufficio del copyright e chiedere di guardare il materiale protetto, ma per certe cose, come il “10NES”, è vietato portare via delle copie o perfino prendere appunti… a meno che quel materiale non sia soggetto di un contenzioso giudiziario.

interessante…

Ed è qui che scatta la svolta. Atari Games ha un piano: gli avvocati di Atari avrebbero compilato un modulo per richiedere una copia del programma “10NES” all’ufficio brevetti, affermando falsamente di averne bisogno per la difesa in un processo che coinvolgeva proprio quell’algoritmo presso la Corte Distrettuale del Nord California anche se, ovviamente, quel processo non esisteva. L’escamotage funziona a meraviglia, e nel giro di poco, Atari Games entra in possesso di una copia del programma “10NES”, ottenuta illegalmente. Con l’accesso al programma, gli ingegneri di Atari riescono a completare il reverse engineering del chip di blocco senza problemi. Creano quindi un chip simile che contiene la loro copia rubata del programma “10NES” e lo provano su una cartuccia. Funziona! Chiamano il loro chip clone “Rabbit” (“Coniglio”). Il piano di Atari Games per aggirare il severo programma di licenze del NES ha funzionato a meraviglia.

Ma come nel Monopoly si pesca il cartellino degli imprevisti, Tengen ha pescato il momento peggiore per diventare un licenziatario Nintendo. Nel 1988 l’intera industria dell’elettronica sta accusando una grossa penuria di chip, dovuta semplicemente alla spropositata domanda generata dai videogiochi. Nintendo ne soffre parecchio. Dato che essa stessa produce ogni singola cartuccia per la sua console, si trova nella condizione di dire a tutti i propri licenziatari che, causa scarsità di materie prime, quell’anno avrebbero venduto meno giochi del previsto. Alcune compagnie si infuriano. La perdita di queste vendite inficia non poco i loro profitti. Dan Van Elderin, Capo Ufficiale Operativo di Tengen, chiede a Nintendo se sia possibile trovare altri chip da altri fornitori per poi prodursi le cartucce internamente, in autonomia. Nintendo, ingenuamente, accetta, ma solo se Tengen si accolla le eventuali differenze di costo. I chip inoltre devono superare gli standard Nintendo per essere usati. Dopo aver trovato un fornitore negli Stati Uniti, Tengen invia i suoi chip a Nintendo per valutazione ma l’autorizzazione viene negata. In quelle condizioni, vista la penuria di chip e l’impossibilità di procurarseli, Tengen avrebbe  soddisfatto meno del 10% della domanda per i suoi giochi su NES. Per Nakajima è la goccia che fa traboccare il vaso. Le politiche di licenza di Nintendo stavano danneggiando i suoi affari e contemporaneamente Tengen aveva già trovato un modo per aggirare il chip di blocco. Bene. È il momento giusto per forzare la mano e colpire duro.

FONTE:


Simone Guidi

Uomo di mare, scribacchino, padre. Arrivo su un cargo battente bandiera liberiana e mi installo nella cultura pop anni 80/90. Atariano della prima ora, tutte le notti guardo le stelle e aspetto che arrivino gli UFO.

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